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» di quella nobilissima città: pensando noi, e persuaden» doci di non errare nella scelta, e acquetandoci volen

tieri al purgatissimo giudicio d'un' Accademia, la quale » (che che ne dicano gl'invidiosi, e chiunque con troppa » animosità suol biasimare le migliori cose) nel fatto del» la Toscana favella, come signora e maestra dee vene» rarsi. »

Questo fu 'l seme, questa la favilla, che m'invoglio e m'accese a ripulir con nuovi studj la detta Commedia, poichè gli usati fino a quel tempo arguir si potevano come inetti, o poco giovevoli ad illustrarla. E'l primo mio studio (volendo io per massima principale di Critica spiegar Dante con Dante) fu quello di legger e rilegger con attenzione le altre Opere stampate di lui, e le inedite, per quanto rinvenirne ho potuto, Toscane e Latine, di prosa, e di verso: nè mi fallì la speranza di profittarne. Imperciocchè trovai quivi descritta in certo modo la lista degli Scrittori da lui studiati e seguiti, onde poterli studiare al bisogno e seguirli anch'io, come sarò veduto aver fatto. Trovai ancora rappresentati più naturali e più al vivo i suoi amori, le sue applicazioni, i suoi sistemi, i travagli, i costumi, il genio, e tutta quasi la vita sua. Trovai finalmente spianata in molti luoghi la via a legger meglio la Commedia, e ad intenderla. Ma, o Dio, quanto sozze le vidi e deturpate d'ogni maniera di errori! Sicchè il secondo mio studio fu l'emendarle : la qual fatica è stata per me, se non la più lunga, certamente la più nojosa. Quindi però mi venne il pensiero di darle ordinate e corrette, acciocchè sieno di lume al Poema, di lustro alla lingua, e di decoro all'Autore. A questi studj totalmentę

negletti dagli Espositori Danteschi ho congiunto l'uso migliore della storia sacra e profana, e quello delle scienze più gravi, della Morale cioè, e della Teologia.

Concepita ch'ebbi e divisata l'impresa, mi preparai ad eseguirla: ma prima, per tentar le mie forze, e l'animo insieme de' Letterati assai ritrosi in allora a dissentir dalla Crusca, giacendo perciò non curate le cose di Dante, le quali dal sopralodato Sig. Perazzini erano state assunte a rilevar quelle del nostro santo Pastore; io con artificio simile, sebbene con mira contraria, impresi a metter in luce gli errori nelle Opere di S. Zeno trascorsi, per farmi strada così ad emendar con alcun'aura favorevole quelle dell' Allighieri: e senza disvelar la mia intenzione a persona, l'anno 1784 diedi volgarizzati al pubblico i Sermoni o sia Trattati del Santo: ciò che fu veramente un mostrar col doppiero le nuove lezioni da me inserite nel testo, e le nuove spiegazioni accennate qua e là nelle note. Nel qual fatto di tanto mi fu favorevole la fortuna, che la critica quivi da me adoperata nella nuova maniera di leggere, e d'interpretare ebbe a pieni voti l'approvazione degli Eruditi.

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La sorprendente Visione, ch' ebbe il Chierico di Monte Casino Alberico, per mio avviso è quella, da cui al nostro Dante venne l'idea di prender l'abbozzo del suo mirabil Foema, e buona parte ancora de' materiali, per non

dir la tessitura, il modello, e la forma di tutta la sua gran tela. Parrà forse ai lettori troppa esagerazione cotesta; e pur mi lusingo, dietro a quanto andrò di mano in mano accennando, ch' egli rimaner debba, se non appieno convinto, almeno almeno del tutto non iscontento. Per andar con buon ordine, darò per principio notizia della fonte d'onde mi venne la base, e'l fondamento del presente discorso, vale a dire la relazione del Codice da cui fu tratta la Visione; indi la preziosità di quel monumento, e'l suo contenuto; l'età perfino, e la condizione di quell' Alberico, e 'l tempo in cui ebbe la sua Visione; vedrem quindi la conformità d'una con l'altra che ci ha dato il gran

Poeta colla sua Commedia.

Per ben istabilire questa base fondamentale, se parlerò io solo, non acquisterò forse presso i miei lettori quella credenza, che ricerca la mia narrativa. Siami dunque di guida e di scorta una lettera del ch. Pre Abbate Costanzo, ch'era in allora al governo del Casinense Monastero di Assisi; nella qual biblioteca avendo egli trovato un antico manoscritto, ch'egli crede non senza fondamento del secol medesimo in cui Dante compose il suo Poema, cioè, prima dell'anno 1368, anteriore ai primi Comentatori, l'Anonimo, e l'Imolese) volle beneficare il pubblico col darcene la più dotta ed estesa relazione colle stampe di Roma pel Fulgoni MDCCCI., col pseudonimo ghiribizzo di Eustazio Dicearcheo (1).

(1) Non ho mai potuto comprendere, come tanti uomini dotti ed illustri siensi infantastichiti di ascondersi con mentiti nomi, o con mere sigle, che ponno spiegarsi in sinistro; perchè se vogliono, che

Cotesto Codice, dice il Pre Abbate Costanzo ( da molti indizj ch'egli va esaminando ) si può credere, che tratto sia dall'autografo, colle postille della stessa mano; egli è certo, perchè fu scritto prima della traslazione del corpo di S. Tommaso d'Aquino dalla Badia di Fossa nova alla città di Tolosa; e ciò basta per la sicurezza della sua antica preziosità, lasciando le tant' altre prove di questo, che ponno riscontrarsi in quell'ottimo libro, che ho accennato, e che in seguito andremo considerando.

Per la qual cosa, non replicherò io quanto egli dice sulla questione, d'onde prendesse Dante la prima idea del suo Poema, differente da quanto pensò Malatesta Porta nel Dialogo detto il Rossi, (1) in cui pretende, che Dante abbia preso il suo piano dall' antico Romanzo detto il Meschino (2). Nè dirò, che Monsig. Bottari possa essere stato il primo ad avvertire, che Dante la sua idea

non si sappia il lor nome, non c'è bisogno di far ammattire chi legge, perchè a ciò fare basta lasciarsi senz'altri menzonieri aggiunti, e meno con sigle di sinistra interpretazione, di che non do esempio. Imperciocchè qual'è quella lettera, incominciando dalla prima dell' alfabeto, che non possa torcersi al più vituperoso interpretamento? Tolgasi dunque dalla bella letteratura simile abuso, e lascisi a' dilettanti di sì insulse seicentisticherie.

(1) Vedi Monsig. Fontanini pag. 82. della sua Eloquenza Italiana. (2) Non so vedere come il Malatesta abbia pensato, che 'l Romanzo del Meschino possa aver dato la minima traccia a Dante per il suo Poema, e molto più, come Monsig. Bottari abbia fatto conto di sì falso paraggio; mentre in tutti que dugento e quarantacinque capi di quel Meschin guazzabuglio non se ne trova pur uno che parli, o dia motivo a quanto trattasi nella gran Cantica del nostro divino Poeta.

Conservasi il Codice, scritto in pergamena, nell' Archivio del Monastero de' PP. Casinensi di Assisi, segnato, come dice il ch. Prẽ Abbate Costanzo, col N. 257., e credesi scritto tra l'anno 1159. e 1181.

abbia preso dalla predetta Visione del fanciullo Casinense Alberico, giacchè n'ebbe le tracce dall' Abbate Costantino Gaetani Casinense.

Ora intorno alla corrispondenza della divina Commedia colla Visione di Alberico, dice il Pre Abbate Costanzo, che Monsig. Bottari riporta due o tre esempi: ma molti di più se ne possono produrre in prova della conformità della Visione di Alberico colla divina Commedia, essendo d'ambo e due il medesimo oggetto; ond' io, che ho fatto un più esatto, e più minuto confronto, non dubito punto (ed ha ragione), che Dante abbia letto, e tolto dalla stessa Visione non pur il modello, ma anche parte de'materiali per comporre il suo Poema. Di tutto questo ne vedremo in seguito le più verisimiglianti ragioni.

Alberico Clericus et Monachus, come sta scritto nel necrologio Casinense, dicesi nato nel Contado di Alvito Diocese di Sora di nobili genitori, nel Castello dei sette fratelli. Di nove anni compiti, secondo il Pre Costanzo, fu sorpreso da mortale infermità, nella quale per lo spazio di nove giorni rimase sopito, e privo affatto di sentimenti. In questo tempo ebbe la predetta Visione, in cui gli parve di esser portato per la chioma in alto da una bianca Colomba; e poi dall' Apostolo S. Pietro in compagnia di due Angeli condotto insieme pei luoghi di pene, e poi al Paradiso a mirare la gloria de' Beati.

Per l'autorità del Codice in cui sta scritta la mirabil Visione, e per le vicende, che susseguettero intorno ad esso acquisto, mi riporto a quanto ci dice il predetto ch. Pre Abbate, non che sulle qualità del giovane Monaco, come sulla estesa di sua Visione dopo il suo sopimento,

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