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nissimo con parole, ma che conveniva o negare di avergli fatto promessa alcuna, ma solamente usato parole generali esortative, ovvero concorrere con Sua Maestà alla perturbazione delle cose d'Italia; Sua Santità si pose in grandi pensieri, e fu questo dolore ed affanno che lo condusse alla morte (1). Andava Sua Santità considerando che, giungendo il tempo delli diciotto mesi, e non osservando Cesare le promesse (come già si discerneva che non faria), bisognava rispondere al Cristianissimo; e se negava di concorrere seco, se lo faceva nemico, nè per questo aveva amico l'Imperatore; onde si pose in passione e dolor grande, accresciuto dalle pazzie del cardinal de' Medici (2), il quale allora più che mai tendeva a renunziare il cappello per concorrere alle cose di Fiorenza contra il duca Alessandro; parendogli che a lui per più cause, e non al duca, dovesse venir quel dominio. E per quanto m' ha pure affermato papa Paolo, Clemente desiderò e tentò ogni via ed ogni espediente per quietare il detto Cardinale; e fra l'altre cose volle dargli la legazione d' Ancona e della Marca, data già, anzi venduta per ducati diciannovemila al Cardinal di Ravenna (3); e questo faceva, per levare al Medici la legazione di Perugia ed allontanarlo quanto più poteva da Fiorenza, acciocchè colla lontananza potesse scordar queste cose. Ma nulla giovò, e per queste cause finalmente se ne morì.

Essendo Clemente nei pensieri sopradetti, nelle simultà con Cesare e nel dubbio che, venendo il tempo, dovesse consentire per le promesse sue al volere del Cristianissimo, nè volendovi consentire colla perturbazione d'Italia in modo alcuno, entrò nell'opinione e desiderio ardente di unirsi con Vostra Serenità; e questo fu alla venuta mia questa seconda volta in Roma; parendogli, ed essendogli anche fatto cono

(1) La quale avvenne ai 25 di settembre 1534.

(2) Di queste pazzie parla a lungo lo stesso Soriano nella relazione precedente.

(3) Benedetto degli Accolti, aretino.

scere da Giacomo Salviati e da altri suoi, che la vera colonna della Chiesa ed il saldo fondamento della Santità Sua e dei suoi, per ogni rispetto era quell' inclita Repubblica. Ed avendo tal animo Sua Santità, non gli fu però comodo scoprirlo, chè gli sopragiunse la morte quando era per tentare di unirsi; perchè cercava prima di farsi grato a Vostra Serenità, sapendo ch'ella aveva un cattivo concetto della Santità Sua; chè la fama pubblica nasceva di qui, dove le cose, massime di Roma, pare che non possano stare secrete. Questo desiderio fu quel che indusse Sua Santità a così facilmente concedere a Vostra Serenità l'imposizione dell'imprestito (1); chè certo fu cosa grande, massime a persona tanto timida; la quale sapeva bene che con tale concessione la contrariava al volere di tutti i cardinali. Ma nulla stimò questo; anzi volle, dirò così, in dispregio loro concederlo, nè volle comunicar loro la cosa, nè dirne pure una parola. E il signore Iddio m'inspirò a spedire immediatamente la risoluzione alla Serenità Vostra, perchè mi parve, ed era, di tanta importanza la prestezza, che, non v' ha dubbio, che se qualche cardinale l'avesse saputo, avria contro operato e messo del male assai, come alcuni si sforzano di fare. Sia certa Vostra Serenità che, mossa Sua Santità da questo desiderio, avea concessa la bolla; e sebbene vi fossero delle difficoltà grandi, pure, ridotta al modo che il Reverendissimo Campeggio l' avea accomodata, saria stata concessa, ancorché gli interessati operassero contra assai. Quali e quanti fossero non esplicherò altrimenti, chè si può molto ben comprendere; chè, quando non fossero altri che li bastardi e li fuorusciti dei monasteri e le residenze con la qualità perti

(2) Essendo la Repubblica di Venezia in grandissimo bisogno di danaro per allestire una flotta contro i Turchi, aveva chiesto a Clemente la permissione di riscuotere dalle entrate del clero veneto centomila ducati; la quale permissione, dopo molte dilazioni e difficoltà, le fu conceduta. Ma la bolla, che doveva forse autorizzare il Senato a sottomettere anche in seguito, nei casi urgenti, i beni del clero alle imposizioni, non venne mai,

nente alle famiglie, era cosa di tanta e tale contrarietà, che difficilmente si potrebbe esprimere. Fece poi accrescere molto più la difficoltà questo: che, trattandosi la materia della bolla ed essendosi per ultimare, Vostra Serenità mi commise di trattare e tentare quella delle denominazioni (1); la quale domanda parve troppo strana, e fu di non poco disturbo alla trattazione principale, di sorta che Sua Santità allora maravigliandosi, mi disse quel proverbio: che chi due lepri caccia, l'una gli fugge e l'altra non può prendere. Con tutti questi disturbi ed impedimenti, alla materia della bolla Sua Santità aveva pur consentito; e l'ultima volta che gli parlai (chè non era ancora ben sano) mi disse chiaramente (poichè da me fu di nuovo disputato sopra tutti gli articoli), che io dovessi dare al reverendo Tommaso da Prato, vescovo di Vasona, olim Datario, la minuta con tutti gli articoli così dichiarati, e poichè fusse da lui fatta estendere. io ne parlassi a Sua Santità, che la manderia al reverendissimo Campeggio, e l'ultimeria votivamente. Ma subito Sua Santità di nuovo s'infermò, nè mai più potei parlargli nè io nè altri, massime in materia di negozii; perchè andò sempre peggiorando nel male che ultimamente lo fe' morire. E con la morte sua si è perduto quel bene che io trattavo per commissione di Vostra Serenità. Avria anche Sua Beatitudine concesse le denominazioni, e credo, anche tutte quelle cose che Vostra Serenità gli avesse saputo domandare; poichè niuna cosa più desiderava che di gratificarla, per poter renderla più facilmente (come già fermamente pensava) unitissima seco lei. Ma la morte tolse di mezzo questa aspettazione; nè da poi si è ritrovato quella disposizione dal canto di Paolo; perchè si è visto Sua Santità non accennare ad altro che a voler ripigliare le facoltà di denominare a quei principi, ai quali sono state concesse; non che vo

(1) Cioè, del diritto di nominare ai beneficii ecclesiastici.

glia concederle a quelli che non l'hanno, come è la Serenità Vostra: e di questo Sua Santità si lascia intendere pubblicamente e largamente da ognuno.

La Vostra Serenità, adunque, in materia di concilio, può esser certissima che, dal canto di Clemente esso fu fuggito con tutti i mezzi e con tutte le vie possibili, e la paura di quello, più che ogn'altra cosa, vessò l'animo di Sua Santità, di sorta che per tal causa ella perdette l'amicizia che avea con Cesare e con altri, e finalmente la vita propria, come di sopra ho discorso. Nè la causa del timor suo era di poco momento, sì per le opposizioni suddette, come ancora per essere quelle note ad ognuno. E in Germania sopratutto, era stato messo un libro a stampa in lingua tedesca, nel quale sono notate tutte quelle cose che potevano con qualche colore pungere la Santità Sua; e fra l'altre vi è questa: che Leone e Clemente spesero in mali usi, cioè in putte e in altre cose profane, undici millioni di ducati: e in questo libretto è notato a partita per partita il tutto (1). Di questo mi ricordo, che Leone nella guerra d'Urbino spese scudi novecentomila; Clemente nella guerra fiorentina, un millione e novecentomila; nel viaggio del duca Lorenzino in Francia per pigliar moglie, e nel ritorno suo, ducati duecentomila; e molte altre cose che non mi ricordo. Colle quali somme di danaro, anzi con una picciola parte di esso, si avria potuto vincere il Turco, se si avesse voluto. E questo gli dava nota grandissima, aggiungendosi, ch' oltra la somma detta, molto più gettò via Leone in cinedi e gola e altri vizii; la qual somma si estrasse da tanti cardinali creati per danaro, e diversi vescovadi venduti quasi pubblicamente, ed altri modi illeciti che per ora si tacciono; sicchè è stato facile che si abbia potuto spendere questa e maggior quantità di danaro.

(1) Libri di questa sorta n'erano stati stampati molti in Germania; e sarebbe quindi difficile il determinare precisamente quello indicato dal nostro oratore. Veggasi il Ranke nella sua Storia della Riforma, Vol. I, lib. II, capitolo 1.°

Il presente papa, Paolo III, ha camminato diversamente da Clemente in questa materia di Concilio. Imperocchè Clemente aveva timore, nè lo sapeva o poteva tener nascosto; all'incontro Paolo è proceduto più astutamente; perchè non ha mai mostrato di temere il Concilio, anzi, sede vacante, come decano del sacro Collegio, si lasciò apertamente intendere, il Concilio piacergli ed esser cosa da lui desiderata e procurata da tutto il Collegio; facendo sopra ciò officio tale, che si acquistò il favore dei cardinali Germani, di Trento e di Salisburgo, (1), li quali caldamente ricordavano e procuravano questa materia. Acquistò anche gran parte dei cardinali cesarei tendenti allo stesso fine. E dopo l'assunzione sua, Sua Santità non è mancata mai di continuare in fare aperta la mente sua essere tale, e di aver ferma volontà che si faccia questo Concilio, non mancando di vantarsi di non avere le opposizioni che hanno avuto i suoi antecessori: prima, per essere la sua assunzione come dallo Spirito Santo, e non essere entrato per le fenestre, come hanno fatto gli altri, ma per le porte e sale; ed aggiunse a questo molte altre ragioni probabili, che possono dar pasto al vulgo. E perchè Sua Santità ha voluto creare i nepoti cardinali d' età molto tenera (chè il Reverendissimo Farnese non passa li quattordici anni, e l'altro poco più; di che ha pur acquistato nota al mondo, ed ha causato mormorio grande; cosa che può senza dubbio dargli imputazione appresso i Luterani e nel Concilio) ha voluto Sua Santità ricoprire tale errore, con fare poi la susseguente promozione

(1) Cioè, Bernardo Clesio e Matteo Lang. Il primo non era altrimenti germano, ma italiano. Di questo sbaglio troviamo frequenti esempi in parecchie relazioni d'ambasciatori veneti, e in altri documenti storici di quel tempo; e può essere derivato dalla circostanza, che il vescovo di Trento aveva nel tempo stesso il titolo di principe dell' Impero; e per l'avvocazia della Chiesa Tridentina, acquistata dagli arciduchi d'Austria e conti del Tirolo, si nominarono a quel vescovado molti prelati tedeschi, prima e dopo il Clesio, sino ai dì nostri. Bernardo Clesio fu cardinale di gran nome, e di molta influenza presso Carlo V e presso il Re Ferdinando, dal quale fu creato Gran Cancelliere.

Vol. VII.

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