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tende di invigilare con tutti gli spiriti suoi. È ben vero, serenissimo principe, che la natura di Sua Santità è molto piena di collera; nè l' essere vecchio ( avendo passati li sessantott' anni) la fa minore, ma piuttosto l'accresce, massime essendogli accresciuta l'autorità ed il potere. È romano di sangue, d'animo molto gagliardo, si promette assai, e molto pondera e stima le ingiurie che gli si fanno, ed è anche inclinatissimo a far grandi li suoi. E si è veduto fin qui che, quel che ha potuto dei benefizii vacati, ha tutto conferito ai suoi nepoti; ed è verissimo che Sua Santità ha tanta tenerezza verso li suoi ed il sangue suo, che più non saria quasi possibile trovarsi in uomo che viva. Tutte queste cause fanno dubitare, che Sua Santità, venendogli bene, non sia coll' occasione per aver rispetto a quiete, purchè possa sodisfare ai suoi desiderii ed esaltare i suoi. Ed è opinione di molti, e massime dell' illustrissimo duca d' Urbino e di quelli che da lui dipendono, che la perturbazione per le cose di Camerino (1) sia proceduta, perchè Sua Santità sin da principio disegnava d'impadronirsi di quello stato per il figliuolo o per il nipote, pigliandosi quella duchessina per sè insieme con lo stato. E perchè con artifizii molto sottili fu da esso signor duca d'Urbino tolta la preda e data al signor Guidobaldo la duchessina, promessagli da ben sette anni prima insieme con lo stato, Sua Santità, prendendosi cotal cosa ad ingiuria, sempre ha cercato di vendicarla, turbandosi non poco; e tanto più quanto la cosa, dal canto del signor duca o de' suoi ministri, non fu governata con quella desterità che ricercava il bisogno; e se fosse stata destramente retta, non si avrebbero vedute tante

(1) Guidobaldo II, figlio di Francesco Maria della Rovere duca d'Urbino, seppe coll' ajuto dei Veneziani mantenersi in possesso di Camerino, antica signoria dei Varani, a lui pervenuta pel matrimonio con Giulia, unica figliuola di Gianmaria Varano. Dopo varie contenzioni, e minaccie d'armi e di bolle, Guidobaldo venne ad accordo, e vendette alla Chiesa il ducato di Camerino (1538), del quale il papa invest Ottavio Farnese, figlio del suo bastardo Pier Luigi.

perturbazioni, le quali quel signor conte di Cienfuentes, oratore di Cesare, ed io servitore di Vostra Serenità, abbiamo, con la grazia di Nostro Signore e con molte fatiche e gran negoziato, appena potuto ridurre a quella quiete che ha inteso Vostra Serenità. Questo dico, perchè perseverando Sua Beatitudine in questo proposito di aver Camerino, come ultimamente lo comunicò meco, certo che non è da stare senza dubbio della quiete d'Italia. E tanto più, non mancando di fare il Cristianissimo ogni cosa per ridurre Sua Santità alle voglie sue; di sorte che, come io l'ho avuto per certo da persona che molto bene lo sa, il Reverendissimo di Parigi (1), colla venuta sua, ha fatto larghissime offerte al papa in nome del suo Re, offerendogli tutte le forze, danari e gente e la venuta sua in persona in Italia, per sodisfazione di Sua Santità, al volere di quella, in ogni impresa e in ogni occasione, come so d' avere scritto a Vostra Serenità. E questo si conferma da chi considera le storie e gli antichi principii della famiglia Farnese, la quale, si dice, che già da molte centinaia d'anni venne di Francia; e li primi suoi progenitori si condussero a far residenza in Lucca, di dove poi vennero a Roma, a tempo di papa Lucio lucchese, loro parente; dal quale, come sogliono fare i papi ai loro parenti e nepoti, fu dato lo stato che hanno nelle parti di Viterbo, Montefiascone ed altri luoghi vicini al territorio sanese. E si giudica ancora essere questa famiglia della nazione francese, per insegna dei gigli che porta; e si è veduto fin qui, che Sua Beatitudine, se è ben perseverata e con parole e con opere nel voler mostrarsi neutrale così con Cesare come con Francia, pure ha dimostrato alquanto più di sangue al nome francese che all' imperiale; come, ancora in minoribus, sebbene è andato neutrale fra Guelfi e Ghibellini, Orsini e Colonnesi, essendo

(1) Giovanni Du Bellay, vescovo di Parigi, fatto cardinale da Paolo III, ad intercessione di Francesco I, nel 1535.

congiunto di sangue con l'una e con l'altra famiglia ( la quale via media di Sua Santità alcuni m' hanno detto esere stata la causa che l'ha condotta al papato), tuttavia la mostrato sempre maggiore inclinazione alla famiglia Orina e parte guelfa, che alla Colonnese e ghibellina. E si potuto vedere con l'esperienza, che tutta la famiglia sua a servito coll' armi alla parte guelfa; e se questi non sono rgomenti gagliardi a mostrare l'animo di Sua Santità, nonimeno sono segni assai evidenti. Sopra i quali vuolsi coniderare, che il signor Ranuccio vecchio fu ai servigi di ostra Serenità fino all' ultimo (perchè, come è ben noto, tori nel fatto d'arme del .....); e dopo di lui il signor ier Luigi primo, e poi il Signor Ranuccio secondogenito i Sua Santità, ambi servirono questo illustrissimo Domiio, e il signor Ranuccio sino alla morte. Hanno anche olti di casa sua servito i Fiorentini, come fece già da olti anni il signor Pietro Farnese; e finalmente si è seme veduto questa famiglia aver dipendenza da parte guelE ancorché il signor Pier Luigi abbia servito Cesare (il he fu dopo avere avuto licenza da Vostra Serenità, perchè padre cardinale volle ai propri servigi il signor Ranuco, ch'era il suo occhio destro) ritengono però che il detto ier Luigi non fosse ai servigi dell' Imperatore, se non opo seguita la lega fra Sua Maestà e la Serenità Vostra: sebben questi non sono gran fondamenti a provare l' ininazione della Santità Sua più alla parte francese che alimperiale, pure, congiunti insieme con altri accidenti, si timano assai da quelli che discorrono (1). Ben si può cre

(1) Tra i Farnesi qui nominati, il più vecchio è Pietro, che fu capitano nerale dei Fiorentini nella guerra di Pisa (1363). A lui, morto di peste, ccedette nello stesso ufficio suo fratello Ranuccio, che dai Pisani fu poi tto prigione. Quel Ranuccio Farnese, che fu capitano per la Repubblica * Venezia, morì alla battaglia del Taro (1495).

Pier Luigi Farnese, bastardo di Paolo III, servi nell' esercito dei Veneani e dell' Imperatore, ma con poca lode.

Vol. VII.

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dere da Vostra Serenità che Sua Beatitudine, dacchè era in minoribus fin ora, abbia con verità un' ottima inclinazione verso questa inclita Repubblica. E come più volte, anzi sempre che è occorso parlarne e meco e con altri l'ha apertamente detto e affermato e s'è mostrata benissimo disposta e d' animo perfettissimo verso la Serenità Vostra, l' ha pur dimostrato ultimamente l'ufficio usato meco da Sua Santità. Imperocchè, temendo lei la venuta di Cesare in Italia, in questo suo ritorno dall'impresa di Tunisi, mostrò una incomparabile confidenza in Vostra Serenità, desiderando e procurando con tanta efficacia di venire a maggior restrizione di mente e di spirito con lei: il che fu grandissimo segno del conto che tiene Sua Santità di questo eccellentissimo Dominio; nella qual materia, senza ch'io replichi più, Vostra Serenità ha per molte mie lettere inteso quanto per me gli sia stato risposto per conservare Sua Beatitudine in questo buon animo, facendola certissima che l' animo della Serenità Vostra era tanto devoto ed unito con quello di Sua Santità, che non avea bisogno nè potea ricevere altra restrizione nè unione maggiore: la quale risposta ha sodisfatto molto alla Santità Sua, come disse ultimamente al Contarini, avendogli Sua Signoria Reverendissima risposto in conformità; di che ella resto benissimo contenta.

Ora, da tutti questi discorsi, la Serenità Vostra e le VV. SS. EE. per la sapienza loro, possono fare questa risoluzione: che il papa presente sia per conservare la quiete d'Italia e custodirla come padre universale, che intende di camminare per via libera da opposizioni ed esser neutrale nè di entrare in lega con Cesare o col Re di Francia. Ma è ben vero che bisogna mantenere Sua Santità in questo proposito con buoni uffici e con buone opere, e non irritarla; massime per essere, come ho detto, collerichissima e d'animo romano, che non può tollerare ingiuria. E non osservandosi questo, temo che facilmente potria venire a

qualche moto che sarebbe il diretto contrario alla quiete, come più volte in questa perturbazione di Urbino ella si è lasciata intendere; minacciando con l'esempio di papa Alessandro VI che, per causa del conte dell'Anguillara favorito dal Re di Napoli, si condusse ad eccitar la venuta del Re Carlo in Italia: dal che poi sono proceduti tutti i disordini de tanti e sì gravi danni, quanti ha patito questa povera econquassata Italia. E tanto più è da stare cogli occhi aperti al presente, vedendosi chiaro che, dal canto del Cristianissimo, non si preterisce cosa alcuna per eccitare Sua Santità all' unione seco; nè mancano agenti diligenti e solleciti, massime il Cardinal di Parigi ed il vescovo di Macone (1), che ad altro non invigilano che a questo; non lasciando passare occasione alcuna, siccome hanno fatto e sanno in questa materia di Camerino, nella quale non manSarono mai di stimolare Sua Santità; giacchè tale impresa a anche pel Cristianissimo, avendo obbietto alle ragioni che pretende la duchessa (2), che s'intitola duchessa di Urbino. Si può ben credere che aiuti questo eccitamento il fatto del luca d'Urbino nel prendere il Raguseo che da Costantinooli andava al Cristianissimo; fatto che i Francesi hanno dimostrato in Perugia essere a Sua Maestà Cristianissima jommamente dispiaciuto (3). Ed è cosa certa che, eccitando Francesi in questo o altro particolar moto in Italia il ponefice, apriranno la via al Re loro di conseguire gli altri deiderii suoi della ducea di Milano, o per lo meno di fare

(1) Carlo Hesmart, allora ambasciatore a Roma per Francesco I; promos40 al cardinalato l'anno seguente, 1536.

(2) Cioè, madonna Giulia, moglie di Guidobaldo, poi Duca d'Urbino. (3) Il Raguseo, della cui cattura tanto dolevasi il Cristianissimo, era un Serafino Gozzi, da lui spedito a Costantinopoli per ispingere Solimano ai lanni dell' Imperatore e dei Veneziani. Il nostro Soriano è d'avviso che il Re di Francia si sia vendicato di questo oltraggio contro i Veneziani (al cui servigio era allora il duca d'Urbino) coll' eccitare ed ajutare il pontefice alla ricuperazione di Perugia dalle mani di Ridolfo Baglioni; ciò che anche gli

renne fatto.

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