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molto tosto, con risposta che il re rinunciasse l'amicizia che aveva con i Turchi, che pagasse quello che doveva, e restituisse quello che non era suo, e poi che si parlasse di pace.

Frattanto le cose di Cesare non progredivano malgrado la lega d' Inghilterra', e la risoluzione di Germania*, la quale si fè più tosto apparente e in parole, che d'importanza e di effetto. E se ne vide il seguito, che non dette l'Impero delli danari promessi alla guerra di Francia più di duecento settanta mila ducati, per quello che mi disse il signor don Ferrante. E nel vero tutte quelle cose che nel principio e in quel tempo pareva che succedessero per ruina del re sono ritornate in grandezza ed esaltazione sua; perciocchè l'andare dell' imperatore con le forze sue, con una lega dell'Inghilterra e con una dichiarazione così ampla di Germania, contra il regno di Francia (il qual per essere abbandonato da tutti, il re solo difese con le proprie sue forze senza che il nemico facesse

Conclusa il di 11 febbrajo 1543, con molti patti relativi al modo ed alle forze con cui invadere di concerto la Francia; patti, che come altrove abbiamo notato, il re d'Inghilterra si proponeva secretamente di mantenere tanto quanto convenisse ai suoi più veri interessi, i quali certamente non erano di sciogliere l'imperatore dal freno in cui lo conteneva la Francia.

Carlo V sentiva da qualche tempo il bisogno di assicurarsi dei principi protestanti di Germania per mettersi maggiormente in istato di venire ad una impresa d'importanza contro la Francia; domata la quale egli contava poter poi più facilmente farsi ragione dei riformati medesimi rimasti privi di quel potente sussidio. A questo fine aveva egli convocata nel 1541 la dieta di Ratisbona, e l'anno appresso quella di Spira, la quale, von potendo egli personalmente, aveva fatta presiedere dal fratel suo, con animo di ottenerne un sussidio di uomini e di denaro. Il quale egli medesimo, nel gennajo del 1544, si condusse a sollecitare ed ottenne. Ma perchè la condizione politica dei principi di Germania relativamente alla Francia era conforme a quella del re d'Inghilterra, i sussidj, come pure soggiunge la Relazione, furono più in parole che in effetto.

profitto alcuno), e in quel tempo esser avvenuta una pace nella maniera che successe, è stata cosa di molta riputazione a quello stato e non molto onorata per l'imperatore. È vero che Cesare andò in Francia in una impresa così malagevole col più tristo esercito, per quantità di soldati e per qualità, che egli abbia giammai avuto, e con pochi apparati rispetto alle cose grandi che egli designava di fare. L'error primo e più importante fu il non aver una banda di fanti italiani in quell' esercito. Di qui avvenne il perder tanto tempo e così indarno sotto San Dizier: di qui nacque la viltà ed il timore dell' esercito cesareo, e la disperazione di poter fare cosa d'alcun momento, e profitto: di qui fu il dar tempo al nemico di poter provvedere ai casi suoi e difendersi. Il non aver preparato li danari fu anco errore ben grande, perchè da ciò successe, dopo la presa di Comorsi (Commercy), lo star otto o forse più giorni senza poter levar l'esercito, il quale voleva e addimandava con ogni istanza, prima che s' andasse più innanzi, esser pagato; e fu questo tempo di molto benefizio alle cose di Francia. Dal non aver guastatori procedette la malagevolezza del viaggio delle artiglierie, alle quali bisognava che si accomodasse tutto il rimanente dell' esercito senza potervi così facilmente rimediare. Il non aver cavalleggieri assai, e anco quei pochi tristi, cagionò la malagevolezza delle vettovaglie o per dir meglio il mancamento; e da ciò nasceva un gran cordoglio nell'esercito, e grande infermità e molte morti. Non si trovava l'imperatore nella impresa contra Francia altro che trenta o forse venticinque mila fanti; e anco, quando si penetrò più oltre, mancorno assai più fanti tedeschi e spagnuoli, l'una e l'altra la peggior gente ch'abbia mai servito. Aveva non più di dugento

cavalleggieri italiani ed altri tanti borgognoni, li quali da sè non erano inetti a far qualche faccenda; ma aggiunti ad altra tanta cavalleria tedesca, non potevan far cosa alcuna per la natural tardità di quei cavalli, li quali tutti ad un modo camminavano di un trotto, come fanno gli uomini di un passo; e usciti di quel trotto si stancavano; nè avevano maneggio di sorte alcuna. Però sì come sono atti forse in una giornata per l'ordine e per l'urto, così nelle scaramuccie e nel far spalle alle vettovaglie son più tosto d'impedimento che altrimenti.

Si dimorò sotto San Dizier dalli dieci di luglio fino alli quindici d'agosto. Gli avvenimenti di tutto quel tempo sono a vostra serenità noti, particolarmente per le lettere mie.

Segui il rendersi del luogo; e il modo ch'io allora non intesi, e però non lo scrissi, non sarebbe forse spiacevole a vostra serenità intenderlo ora.

Mandava ogni giorno monsignor di Ghisa diversi uomini del paese ora vestiti da contadini, ora in altra maniera, ora a cavallo, ora a piedi, per soccorrere San Dizier con polvere e inanimar quei capitani con lettere e con buone parole. Molti d'essi furono presi, e tra gli altri uno che aveva una lettera tutta in cifra. Si conteneva nella lettera che il re conosceva esser molto obbligato a quelli che entro si ritrovavano e che farebbe ogni cosa per aiutarli. Fu consultato di scrivere il medesimo in cifra, aggiungendo che però il re desiderava la vita e la salute di chi l'aveva servito; e che quando paresse a loro di non si poter più lungamente tenere, era contento che, più tosto che farsi tagliare a pezzi, si rendessero. Mancava a questo stratagemma contraffare il sugello di monsignor di Ghisa, e ritrovar uomo delli suoi che re

casse dentro la lettera. Il sugello lo fece monsignor d' Aras' sopra la cera pur del sugello della medesima lettera presa; nel ritrovar uomo securo apportatore si operò il signor don Ferrante.

Con questa arte appresentata la lettera alli difensori di San Dizier, subito incominciorno a trattar di accordo; e in ciò successe alli cesarei il desiderio loro. Ma inteso poi, dopo resi, che quello non era l'ordine del re, quelli di San Dizier per giustificazione propria producevano la lettera, e monsignor di Guisa non poteva negare che non l'avesse scritta e mandata; ma affermava che non mai aveva ordinato che si rendessero. Il che intendo che malagevolmente si poteva indurre a credere il re; e però ebbe mala opinione lungamente di lui, e se non fusse stato qualche rispetto l'avrebbe deposto; ma poi nella conclusione della pace essendosi inteso il modo, stato ed è più grato che mai.

è

Incominciò sotto San Dizier la stretta trattazione della pace, della quale avendo io pienamente scritto in quel tempo non ne repplicherò altro per ora. Ma avendosi detto di sopra che Cesare non volse udire nè il duca di Lorena, nè il cardinale Farnese, nè alcun' altro che parlasse di pace, giudico che sia di mestieri dir ora le cagioni ond' egli s'indusse a farla: il che si farà più agevolmente manifesto a vostra serenità narrandole gli avvenimenti dopo il rendersi di San Dizier.

L'andar innanzi fu opinione dell'imperatore; gli altri tutti quasi repugnavano, e dimostravano il mancamento delle vettovaglie, e facevano conoscere che luoghi

Antonio Perrenot, figlio del cancelliere Granvela, che fu poi il celcbre cardinale di questo nome e già molto innanzi nella grazia dell'impe

ratore.

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e fortezze difese non si potevano acquistare con la gente che aveva Cesare, e tanto più quanto il re aveva già ridotto un corpo d'esercito insieme di non poco numero. Aggiungevano appresso che d' una giornata non gli darebbono commodità i capitani del re; e ad egual partito si servivano del tempo, che era molto innanzi. Avevano anco occasione di confermar la loro opinione per la natura de' Tedeschi, li quali vogliono esser pagati nel giorno deliberato; nè aveva allora l'imperatore comodità di pagarli. Concludevano finalmente che quanto più s'andava indugiando, in tanto maggior rischio si poneva Cesare istesso con le forze sue tutte. Volle però l'imperatore spingersi innanzi per non dimostrar timore, e forse perchè, malgrado queste ragioni dette, considerava che dopo aver già due anni disegnata questa impresa contro Francia, averla assalita con una lega dell'Inghilterra, e con una dichiarazione di Germania palese, il ritirarsi dopo aver fatto così poca preda, di un così piccolo luogo come è San Dizier, senza tentar altro, avesse troppo a compromettere ed arrischiar l'onor suo. Sperava appresso, andando più oltre, con gli incendj e ruine del regno, ridurre il re a quelle condizioni di pace, che avesse voluto, o trovar commodità di combattere. Lo faceva anco risolvere in questa opinione don Ferrante, e la capitolazione ch'egli aveva con Inghilterra; e le offerte che fecero i capitani tedeschi, li quali sperando aver in preda il regno di Francia, per impedire la pace mostrarono di voler servire l'imperatore senza danari e senza vettovaglie, dicendo che la vettovaglia ritroveriano in ogni luogo ch'ella fosse, e che le sue paghe darrebbe poi l'imperatore con sua commodità. E però fu risoluto di andar innanzi senza danari, con provvisione

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