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CENNI BIOGRAFICI INTORNO A MATTEO DANDOLO

Matteo Dandolo fu figliuolo di Marco e di donna Nicolosa Loredano. Eletto nel Pregadi fino dal 1521, tenne nel 1530, come Savio di Terraferma, un eloquente discorso a favore di suo padre, il quale avea chiesto di essere dispensato dall' ambascieria di Roma. Nel 1540 fu eletto ambasciatore ordinario presso Francesco I di Francia; nel 1545 ebbe il Reggimento di Padova, dove cooperò ad introdurre l'Orto dei semplici e ad inalzare la loggia delle scuole pubbliche verso tramontana. Nel 1547 venne mandato con Vettore Grimani ambasciatore straordinario ad Enrico II per congratularsi in nome della Repubblica del suo innalzamento al trono di Francia. Ai 12 di Ottobre 1548 fu inviato oratore ordinario a papa Paolo III; morto il quale, rimase collo stesso carattere anche sotto Giulio III. Tornato da Roma nella primavera del 1551, fu eletto Consigliere di Venezia pel sestiere di san Marco. Quattro anni dopo venne destinato con tre altri ambasciatori straordinarii a papa Marcello II per congratularsi della sua assunzione al pontificato; ma essendo niorto, pochi giorni dopo la sua esaltazione papa Marcello, andò invece a Paolo IV suo successore, ai 20 di Maggio dell'anno stesso 1555; nella quale legazione ebbe a compagni Francesco Contarini, Carlo Morosini e Girolamo Grimani. Tornato in patria, fu consigliere della città per la seconda volta, poi Savio del Consiglio; carica da lui sostenuta anche in seguito per ben tredici volte. Ai 29 di Settembre 1561 fu spedito con Niccolò da Ponte e con Bernardo Navagero al Concilio di Trento. Nel 1563 fu fatto Procuratore di San Marco in concorso di quindici dei primarii senatori, fra i quali tre che riuscirono Dogi: Mocenigo, Da Ponte e Loredano. Negli anni 1564, 1565, 1569 fu uno della Giunta del Consiglio dei Dieci, che in quel tempo reggeva le cose più importanti della Repubblica. Più volte concorse al principato della patria, e ne riportò buon numero di suffragi. Il Dandolo avea gran fama di eloquenza; e nel Senato sosteneva sempre le opinioni più giovevoli al Comune; e particolarmente nel 1538, la lega col Papa e coll'Imperatore contro i Turchi. Nelle ambascerie si studiava principalmente di mantenere la neutralità della Repubblica, come quella che poteva apportarle riputazione e sicurezza fra le lotte pericolose del tempo. Il Dandolo morì senza prole ai 29 di Luglio 1570, nell'età d'oltre i settant' anni, e fu sepolto in S. Moisè nelle arche de' suoi maggiori. Abbiamo di lui:

I. Relazione di me Matteo Dandolo cav. ritornato ambasciatore di Francia ai 20 di Agosto 1542. — Questa relazione ancora inedita, è lunghissima ed interessantissima, specialmente pei cenni statistici.

II. Relazione dell'ambasciata straordinaria di Francia, letta in Senato ai 17 Dicembre 1547. Questa fu pubblicata per la prima volta da Eugenio

Albéri, nel volume II della Serie 1 delle Relazioni degli Ambasciatori Veneti (Firenze 1840), secondo un codice dell'Archivio di corte in Torino. Trovasene uno contemporaneo anche nell'Archivio Veneto. Il Dandolo, a pag. 164 della stampa, fa menzione della prima sua legazione ordinaria in Francia; e a pag. 182 ricorda la relazione che ne fece al Senato. Si noti che per errore di tipografia a pag. 180 si legge Lasco invece di Losco; e a pag. 190: Rettor Grimani invece di Vettore Grimani. Al vacuo nella stampa (pag. 189) si supplisce col Codice dell'Archivio Veneto, così: « era infetto di peste. Nel passar per Lione con una gran pioggia, mi si fece innanzi una buona ciera d'uomo, che intesi poi essere il suo mastro delle poste, e mi domandò s'io ero... » La lacuna a pag. 191 nel cognome del Segretario, trovasi tale quale anche nel Codice Veneto.

III. Relazione dell'ambasciata ordinaria di Roma, letta in Senato, ai 20 di Giugno 1551: che è la seguente, tratta da un Codice di S. E. il conte Leonardo Manin.

IV. Lettera di Matteo Dandolo a suo cognato Gasparo Contarini. È a stampa nella Raccolta di monumenti di varia letteratura: Bologna 1799, in-4° Tom. I, Par. II, pag. 179, colle lettere del cardinal Contarini. Del Dandolo poi parlasi varie volte in quella vita del Contarini scritta dal Beccatelli; così pure in quella latina del Casa; e nelle opere d'altri illustri contemporanei.

Ritornato, sono già venti giorni, da Roma, non m'è stato possibile (per le occupazioni che hanno vedute le Eccellenze Vostre) di fare prima d'ora la relazione dei ventisei mesi passati presso due Sommi Pontefici. Sebbene la moltiplicità e varietà dei negozii e travagli sino all' ultimo sempre importanti, rendano non solo lecita ma forse anco desiderata la lunghezza del riferire, io mi studierò tuttavia non essere nè troppo lungo nè tedioso. Le cose che ho scritte durante la mia legazione, so che le Eccellenze Vostre, per bontà loro, me le hanno sempre credute, come conviene a degno ambasciatore: pure, essendo state di tale momento, ho conosciuta la utilità di aver sempre gli ambasciatori veneti seco il segretario nel negoziare coi principi: cosa insolita e strana per tutti gli altri, i quali credono che le Signorie Vostre non si fidano di noi, e che i segretarii ci vengano per testimoni. Questo a me è stato gratissimo, e perchè si creda tutto ciò che ho scritto essere stato vero, ed anco per i particolari che hanno avuto desiderio o bisogno dell'opera mia presso le Santità Sue: i quali possono stare securi averli io menati tutti egualmente, e non essermi in queste cose mai ingerito, se non m'era commesso dalle Eccellenze Vostre; ed anche allora, per confessare il vero, scarsamente: chè, quando ho avuto da negoziare cose pubbliche

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non ho mai voluto mescolarvi le private, per non disavvantaggiare le Eccellenze Vostre.

Il negoziare con papa Paolo fu giudicato da ognuno difficile; perchè era tardissimo nel parlare, e perchè non voleva mai proferire parola che non fosse elegante ed esquisita, così nella volgare come nelle lingue latina e greca; chè di tutte tre faceva professione. E perchè era vecchissimo, parlava bassissimo ed era assai lungo; nè voleva negare cosa che gli si addimandasse, ma nè anco che in alcuna, l'uomo che negoziava seco potesse essere sicuro di avere avuto da Sua Santità il sì più che il no; perchè lei voleva starsi sempre sull'avvantaggio di poter negare o concedere; quindi si risolveva sempre tardissimamente quando voleva negare: e così fece delle decime richiestegli dal clarissimo mio predecessore per l'Eccellenze Vostre ; ch' io credo lo tenesse in pratica o speranza da forse sei od otto mesi: e le Eccellenze Vostre diedero poi anche a me commissione di questo affare; con grandissimo mio dispiacere, per dire il vero, ch'io avessi subito nel mio principio ad entrare in cosa così garba (1). E sebbene io ubbidii, come era debito mio, alle Eccellenze Vostre con quella efficacia ch'io potei maggiore, quanto poca speranza ci fosse nella prima udienza privata con esso mio predecessore, le E. V. lo udirono e dalle nostre lettere e dalla relazione di Sua Magnificenza. È vero che dopo partita lei, nella seconda o terza udienza ch' io ebbi, io le ottenni miracolosamente; e lo voglio dire alle Eccellenze Vostre, alle quali non lo scrissi per i miei convenienti rispetti, che ora per grazia e benignità di quelle mi possono cessare. Io andai alla Santità Sua, ch'era nella villa del Reverendissimo Durante (2), fuori del castello; la

(1) Qui vale spiacevole; e dicesi specialmente delle frutta e del vino che

banno il razzente.

(2) Durante dei Duranti, bresciano, fatto cardinale nel 1544 da Paolo III, al quale era carissimo.

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