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biano stretto lega insieme a difenne degli Stati acquistati di nuovo (1); il qual re ha granaura della Spagna, che vorria torgli il regno. Dell' Inghilra, per ciò che spetta alla Chiesa (2), non fa quella estazione che si richiede; o perchè sia lontano, o perchè nom pratica di quel regno. L'Ungheria è nulla al proposito qui; è un re di poche faccende (3). Stima l' imperatorefantem nudum; ma ben stima gli elettori e l' Alemagna. (a Signoria nostra ritiene di aver fatto quel che ha volutod è battuta forte e ha perse le forze. Coi Fiorentini mo di aver gran potere ; e sebbene sono francesi, si prore di loro assai contro Francia; e il cardinal di Volterrè stato nostro gran nemico. Vuol male al duca di Fera, che vorria aver per la Chiesa, per serrar la Romagne fu contento che patisse quei danni che gli fece la Signonostra (4). Con Mantova si è imparentato; e il nipote dudi Urbino colla moglie, che è figlia d'esso marchese, e duchessa vecchia di Urbino, sorella del marchese, son (Roma; e il papa instato da queste vorria liberarlo, dandauzione di fedeltà ec. (5). I senesi dicono essere il papa iro protettore; perchè li suoi furono senesi di casa Giani (6); e gli hanno date entrate e case e possessioni per ati dodicimila all'anno.

(1) La lega però non si strinse che Massimiliano e il re di Francia, riserbando facoltà al papa di entrarvi i due mesi prossimi, e al re di Spagna e a quel d'Ungheria in fra quat

(2) Chi ave se detto a papa Giulio, pochi anni dopo, la non estimata Inghilterra s'alenerebbe dala Chiesa dima!

(3) Re torpid e inetto chama Ladi anche il Palma: Notitia rerum Hungaricarum, Pors II. p. 52

(4) I Veneziani, eccitati dal apa, ero e depredarono tutto il paese di là dal Po; ma furono poscia gorosente ribattuti da Alfonso.

(5) Francesco Maria della Rore, pote di Giulio II, adottato nella famiglia di quelli da Montefeltro,ra enuto duca d'Urbino. Il marchese di Mantova era prigione dei Venezjedi la precedente relazione), e per la sua liberazione pregavano in Ro figlia Eleonora Gonzaga e la sorella Elisabetta, vedova di Guidobaldo duUrbino.

(6) La famiglia Ghiandaroni (nondoni, come dice il Trevisano o il Sanuto) fu dei Grandi di Siena e lette la contea della Suvera nel territorio senese. Scacciati dalla patri le civili discordie, e privati di

Quando il papa determinò di assolverne dall'interdetto, gli oratori della lega instarono che non lo levasse; ma aveva avuto consiglio fino dai dottori dello studio di Bologna, che con dignità della Santa Sede non poteva mantenere questa scomunica ec.

Il papa è sagace, gran praticone, d'anni sessantacinque; ha mal vecchio gallico e gotte; tuttavia è prosperoso e fa gran fatica. Niuno puote sopra di lui; ode tutti, ma fa quello che gli pare; è ritenuto della bocca e di altro, per voler vivere più moderato. Si dice che ha in contanti almeno settecentomila ducati, tutti in Castel Sant' Angelo; con ordine al castellano, che è di casa Rovere, savonese, che se muore, non dia questi danari ad altri che al papa eletto in suo luogo, da mettersi contro infedeli; alla qual cosa mostra di avere gran fantasia. Ed ha modo di avere quanti danari vuole; perchè, vacando un benefizio, non lo dà se non a chi ha un ufficio, e quello ufficio dà a un altro; sicchè tocca per questo assai danari; e sul vender gli uffici ci sono sensali più del solito in Roma (1). Il papa ha di entrata ordinaria ducati duecentomila; e di straordinaria, si dice, centocinquantamila; ma questo ha due terzi dello straordinario, e dell'ordinario ammigliora d'un terzo di più le entrate. Dove soleano pagare il censo carlini dieci al ducato (perchè la Chiesa era ingannata, che vale carlini tredici e mezzo al ducato) vuole che paghino quello che corre il carlino; e ha fatto una nuova stampa che vale dieci al ducato; e son buoni, di argento; dal che ammigliora da dieci a tredici e mezzo la en

tutte le facultà, si ritirarono in Torino, quindi in Savona, dove formarono la loro discendenza. Di tal famiglia, variato il nome dal frutto alla pianta e chiamatisi della Rovere, nacque Sisto IV, e da un suo fratello, Giuliano, che fu poi papa Giulio II. A lui nel 1507 restituirono i Senesi la contea della Suvera, stata già de' suoi antenati; e nel 1530 Niccolò della Rovere la vendette ai figli di Sigismondo Ghigi, suo zio.

(1) La venalità degli uffici ecclesiastici era già introdotta in Roma nel secolo XV. Crebbe poscia smisuratamente sino alla metà del secolo XVI. Di essa ragiona con critica imparzialità Leopoldo Ranke nella sua Storia dei Papi, vol. I. lib. I, pag. 56 e seg. e lib. IV, pag. 400 e seg.

Vol. VII.

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trata del papato; e i detti carlini nuovi si chiamano giuli. Inoltre, è misero; ha poca spesa; si accorda col suo maestro di casa, e gli dà al mese per le spese ducati millecinquecento e non più. Ha degli argenti assai in armari, per ducati tremila. Fa la chiesa di San Piero di nuovo, cosa bellissima; per la quale ha posto certa crociata; ed un solo frate di San Francesco, di quello che avea raccolto per il mondo, gli portò in una botte ducati ventisettemila. Sicchè per questo oggetto tocca quanti danari vuole; è gran cosa; si lavora, ma non si compirà così in fretta; e ha dato a questa fabbrica una parte dell'entrata di Santa Maria di Loreto, e tolto a questo parte del vescovato di Recanati (1).

Il papa vuol essere il signore e maestro del giuoco del mondo; teme di Francia per Roano; il quale certo sarà papa, per i voti che poi avrà, se non fa altri cardinali italiani. Si dice anche che sarà papa il Sangiorgio, il quale ha gran fantasia ed è cardinale mal andato. Anche il Regino si mette avanti al papato.

Inoltre, toccò l'oratore, che il signor Costantino Arniti si è affaticato per la Signoria nostra; e che Santacroce e i cardinali francesi fecero di tutto, affinchè il papa non ci assolvesse; fino a dire al papa: questo assolvere è dare di uno coltello nel petto del re.

Sono vivi al presente trentotto cardinali; i quali tutti hanno cinquecento e cinquanta ducati d' entrata. Il cardinal di Napoli che è il primo, ha anni ottanta; è un vecchio insensato. San Giorgio è gran nemico di Francia, e amico della Signoria nostra; e Santacroce, che è dottissimo, è tutto per il re dei Romani, più che per il suo re di Spagna ec.

(1) A questa grand'opera della fabbrica di San Pietro prepose Giulio II il Bramante, e Paolo III Michelangelo Buonaroti, Alla maggior parte dei Romani ed anche a molti dei cardinali doleva però la demolizione dell'antica basilica. La nuova non fu veramente finita che sotto il pontefice Sisto V. Altre aggiunte, ma non tutte felici, furono fatte sotto i pontefici successivi sino a Pio VI.

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E lodò i due cardinali veneti; e disse che del Cornaro, se vive, è da sperare assai; e che tra i due cardinali nepoti del Roano, Aix ed Albi, è grande odio; e questo, perchè Albi, che è nuovo, si vuol tirare avanti in trattare pel re; ed Aix se ne duole: tanto che il cardinal di Volterra si mette in mezzo e cerca di pacificarli insieme con desinari.

Il papa ha un capitano bargello, figlio di messer Obietto dal Fiesco (1), il quale in Roma ha grande autorità e si fa temere. Non seguono gli omicidi che seguivano, massime quando il Trevisano fu oratore al tempo di Innocenzio, chè non si poteva andare per Roma. Ora tutti vanno securamente, e non si sente quello che si sentiva prima.

Il papa ha ducento svizzeri alla sua guardia; ha gente d'arme: il duca d'Urbino, capitano della chiesa, ed altri condottieri; e in tutto avrà mille uomini d'arme. Tiene in Bologna alla piazza fanti trecento, ed in rocca fanti ducento; e ha mandato agli Svizzeri il vescovo Sedunense (2) per averne buona quantità; e si dice che gli avrà, per aver promesso il cappello. In Roma non corre molto danaro, come prima. I cardinali attendono a cumulare per il papato, e il papa non apre mai lo scrigno.

Dal papa si possono sperare quattro cose: primo, che non ci sia contro nè dia favore ai contrarii; secondo, che dia brevi in favor nostro; terzo, vettovaglie; quarto, fanterie e commerci; ma altro no. Quanto alli capitoli del signor Prospero, lui non si potrà avere. Ne è desideroso e ne ha scritto in Spagna: tuttavia il papa, quando l'oratore gliene parlò, disse: vi daremo chi volete, con modo però che giurino nelle nostre mani di non venire contro la Chiesa. Giovan Paolo Baglione è col papą; ha cento uomini d'ar

(1) Il quale ebbe molta parte negli sconvolgimenti di Genova al tempo di Carlo VIII re di Francia.

(2) Matteo Schiner, vescovo di Sion nella Svizzera, fatto cardinale l'anno seguente.

me; e l'oratore ritiene che il papa non lo darà, perchè saria uno scoprirsi (1). Marcantonio Colonna ha trentadue anni; è coi Fiorentini; verria volentieri; vuole centocinquanta uomini d'arme; è figlio d'un fratello di Prospero ; ma si vogliono male. Ritiene che Renzo da Ceri si avrà, perchè ne ha voglia. Troilo Savello, uomo di anni quarantacinque, si offerì di venir volentieri a stipendio nostro.

Inoltre disse, che un collettaneo del papa, che è in Inghilterra, nominato Piero Svifo, è mal voluto da quel re; e ne deve aver scritto male al papa, perchè il papa non fa d'Inghilterra quella stima che dovria.

Dell' oratore che è a Roma (2), nulla disse. Raccontò che il papa gli aveva detto: quelli reali instavano di voler venire a torre Venezia, ma noi non abbiamo voluto, dicendo: se quella terra non fusse, bisogneria farne un'altra. Inoltre parlò al papa dei prigioni, nostri gentiluomini, e delle possessioni e beni dei nostri. Sua Santità disse: non è tempo; quella Signoria non ne vuol compiacere di nulla. E dei benefizii dei nostri disse: il tutto è riservato; a nessuno abbiamo voluto segnare.

Laudo Paolo Pisani, suo collega, che morì; e questa Terra, per la sua morte, perdette un buono e savio cittadino. Laudò il segretario Lorenzo Trevisano, e assai Andrea Rosso qui presente. Lascierà che il Donato dica di più al suo ritorno. Disse, che aveano speso molto meno di quello che potevano per legge, a gran giunta. Erano stati con quaranta cavalli e due staffieri, nove mesi e venti giorni; e in cose di bocca aveano speso ducati duemila seicento novantaquattro; in estraordinarie, cinquecento sessantotto; in salarii seicento ottantatrè; in cortesie, massime quando fu fatta l'assoluzione, ducati ottantasette; e in queste sono li cinque ducati che dettero in elemosina a ciascuna delle sette

(1) Eppure lo diede, come notammo nella relazione antecedente.
(2) Questi era Girolamo Donato, che morì in Roma l'anno seguente.

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