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Ma se i vaghi pensieri ella disvia
Solo un momento, e il giocatore avverso
Util ne tragge, ah! il cavaliere allora
Freme geloso; si contorce tutto;
Fa irrequieto scricchiolar la sedia;
E male e violento aduna, e male
Mesce i discordi de le carte semi;
Onde poi altra giocatrice a manca
Ne invola il meglio e la stizzosa dama,
I due labbri aguzzando, il pugne e sferza,
Con atroce implacabile ironia,
Cara a le belle multilustri. Or ecco
Sorger fieri dispetti, acerbe voglie,
Lungo aggrottar di ciglia, e per più giorni
A la veglia, al teatro, al corso, in cocchio
Trasferito silenzio. Al fin, chiamato
Un per gran senno e per veduti casi
Nestore, tra gli eroi famoso e chiaro,
Rompe il tenor de le ostinate menti
Con mirabil di mente arduo consiglio.
Cosi ad onta del tempo, or lieta, or mesta
L'alma coppia d' amarsi anco si finge;
Cosi gusta la vita. Egual ventura
T'è serbata, o Signor, se ardirà mai,
Ch'io non credo però, l' alato veglio
Smovere alcun de' prezïosi avorii,
Onor de' risi tuoi; si che le labbra
Si ripieghino a dentro, e il gentil mento
Oltre i confin de la bellezza ecceda.

Ma d'ambrosia e di néttare gelato
Anco a i vostri palati almo conforto,
Terrestri Deitadi, ecco sen viene;
E cento Ganimedi, in vaga pompa
E di vesti e di crin, lucide tazze
Ne recan taciturni; e con leggiadro
E rispettoso inchin, tutte spiegando
Dell'omero virile e de' bei fianchi
Le rare forme, lusingar son osi
De le Cinzie terrene i guardi obliqui.
Mira, o Signor, che a la tua dama un d'essi
Lene s'accosta; e con sommessa voce,
E mozzicando le parole alquanto,
Onde pur sempre al suo Signor somigli,

A lei di gel voluttuoso annuncia
Copia diversa. Ivi è raccolta in neve
La fragola gentil, che di lontano
Pur col soave odor tradi sè stessa;
V'è il salubre limon; v'è il molle latte;
V'è, con largo tesor culto fra noi,
Pomo stranier, che coronato usurpa (1)
Loco i pomi natii; v'è le due brune
Odorose bevande, che pur dianzi,
Di scoppiato vulcan simili al corso,
Fumanti, ardenti, torbide, spumose
Inondavan le tazze; ed or congeste
Sono in rigidi coni, a fieder pronte
Di contraria dolcezza i sensi altrui.
Sorgi tu dunque ; e a la tua dama intendi
A porger di tua man, scelto fra molti,
Il sapor più gradito. I suoi desiri
Ella scopre a te solo; e mal gradito,
O mal lodato almen, giugne il diletto,
Quando al senso di lei per te non giunge.
Ma pria togli di tasca, intatto ancora,
Candidissimo lin, che sul bel grembo
Di lei scenda spiegato ; onde di gelo
Inavvertita stilla i cari veli

E le frange pompose in van minacci
Di macchia disperata. Umili cose
E di picciol valore al cieco vulgo
Queste forse parran, che a te dimostro
Con si nobili versi, e spargo ed orno
De' vaghi fiori de lo stil, ch'io colsi
Ne' recessi di Pindo, e che già mai
Da poetica man tocchi non furo.
Ma di si crasso error, di tanta notte
Gia tu non hai l'eccelsa mente ingombra,
Signor, che vedi di quest'opra ordirsi
De' tuoi pari la vita; e sorger quindi
La gloria e lo splendor di tanti eroi,
Che poi prosteso il cieco vulgo adora.

(1) L'ananas.

ODI.

LA VITA RUSTICA.

PERCHÈ turbarmi l'anima,
O d'oro e d'onor brame,
Se del mio viver Atropo
Presso è a troncar lo stame;
E già per me si piega

Sul remo il nocchier brun
Cola, donde si niega
Che più ritorni alcun?

Queste che ancor ne avanzano
Ore fugaci e meste,
Belle ne renda e amabili
La libertade agreste.
Qui Cerere ne manda

Le biade, e Bacco il vin;
Qui di fior s'inghirlanda
Bella Innocenza il crin.

So che felice stimasi
Il possessor d'un'arca,
Che Pluto abbia propizio
Di gran tesoro carca;
Ma so ancor che al potente
Palpita oppresso il cor

Sotto la man sovente
Del gelato timor.

Me, non nato a percotere
Le dure illustri porte,
Nudo accorrà, ma libero,
Il regno de la morte.
No, ricchezza, nè onore
Con frode o con viltà
Il secol venditore
Mercar non mi vedrà.

Colli beati e placidi,
Che il vago Eupili mio
Cingete con dolcissimo
Insensibil pendio,
Dal bel rapirmi sento,
Che natura vi die;
Ed esule contento
A voi rivolgo il piè.

Già la quiete, a gli uomini
Si sconosciuta, in seno
De le vostr' ombre apprestami
Caro albergo sereno;

E le cure e gli affanni
Quindi lunge volar
Scorgo, e gire i tiranni
Superbi ad agitar.

In van con cerchio orribile Quasi campo di biade,

I lor palagi attorniano
Temute lance e spade;
Però ch'entro al lor petto
Penetra nondimen
Il trepido sospetto,
Armato di velen.

Qual porteranno invidia
A me, che di fior cinto,
Tra la famiglia rustica,
A nessun giogo avvinto,
Come solea in Anfriso
Febo pastor, vivrò;
E sempre con un viso
La cetra sonerò!

Non fila d'oro nobili,
D'illustre fabbro cura,
Io scoterò; ma semplici,
E care a la natura.
Quelle abbia il vate, esperto
Nell'adulazion;

Che la virtude e il merto
Daran legge al mio suon.

Inni dal petto supplice
Alzerò spesso a i cieli;
Si che lontan si volgano
I turbini crudeli;
E da noi lunge avvampi
L'aspro sdegno guerrier;
Né ci calpesti i campi
L'inimico destrier.

E perchè a i numi il fulmine
Di man più facil cada,
Pingerò lor la misera
Sassonica contrada,
Che vide arse sue spiche
In un momento sol,
E gir mille fatiche
Col tetro fumo a vol.

E te, villan sollecito,

Asciuga i dorsi molli.

Che per nuov' orme il tralcio
Saprai guidar, frenandolo
Col pieghevole salcio;
E te, che steril parte

Del tuo terren di più
Render farai, con arte
Che ignota al padre fu:

Te co' miei carmi a i posteri Farò passar felice;

Di te parlar più secoli
S'udirà la pendice:
E sotto l'alte piante
Vedransi a riverir
Le quete ossa compiante
I posteri venir.

Tale a me pur concedasi
Chiuder, campi beati,
Nel vostro almo ricovero
I giorni fortunati.

Ah quella è vera fama
D'uom, che lasciar può qui
Lunga ancor di sè brama
Dopo l'ultimo di!

LA

SALUBRITA DELL'ARIA.

On beato terreno
Del vago Eupili mio,
Ecco al fin nel tuo seno
M'accogli; e del natio
Aëre mi circondi;
E il petto avido inondi!

Già nel polmon capace
Urta sé stesso, e scende
Quest'etere vivace,

Che gli egri spirti accende, E le forze rintegra,

E l'animo rallegra;

Però ch' austro scortese
Qui suoi vapor non mena,
E guarda il bel paese
Alta di monti schiena,
Cui sormontar non vale
Borea con rigid' ale.

Ne qui giaccion paludi,
Che da lo impuro letto
Mandino a i capi ignudi
Nuvol di morbi infetto;
E il meriggio a' bei colli

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La salute civile.

Certo colui del fiume
Di Stige ora s'impaccia
Tra l'orribil bitume;
Onde alzando la faccia,
Bestemmia il fango e l'acque,
Che radunar gli piacque.

Mira dipinti in viso
Di mortali pallori
Entro al mal nato riso
I languenti cultori;
E trema, o cittadino,
Che a te il soffri vicino.

le de' miei colli ameni
Nel bel clima innocente
Passerò i di sereni

Tra la beata gente,
Che di fatiche onusta,
È vegeta e robusta.

Qui con la mente sgombra,
Di pure linfe asterso,
Sotto ad una fresc' ombra,
Celebrerò col verso

I villan vispi e sciolti,
Sparsi per li ricolti;

Ei membri, non mai stanchi
Dietro al crescente pane;
Ei baldanzosi fianchi

De le ardite villane;

E il bel volto giocondo
Fra il bruno e il rubicondo;

Dicendo: Oh fortunate
Genti, che in dolci tempre
Quest'aura respirate,
Rotta e purgata sempre
Da venti fuggitivi,
E da limpidi rivi!

Ben larga ancor natura
Fu a la città superba
Di cielo e d'aria pura;
Ma chi i bei doni or serba
Fra il lusso e l'avarizia
E la stolta pigrizia?

Ahi! non bastò, che intorno
Putridi stagni avesse;

Anzi a turbarne il giorno
Sotto a le mura stesse
Trasse gli scelerati
Rivi a marcir su i prati;

E la comun salute

Sagrificossi al pasto
D'ambiziose mute,
Che poi con crudo fasto
Calchin per l'ampie strade
Il popolo, che cade.

A voi il timo e il croco
E la menta selvaggia
L'aere per ogni loco
De' vari atomi irraggia,
Che con soavi e cari
Sensi pungon le nari.

Ma al pie de' gran palagi
Là il fimo alto fermenta;
E di sali malvagi
Ammorba l'aria lenta,
Che a stagnar si rimase
Tra le sublimi case.

Quivi i lari plebei
Da le spregiate crete
D'umor fracidi e rei
Versan fonti indiscrete;
Onde il vapor s' aggira,
E col fiato s'inspira.
Spenti animai, ridotti
Per le frequenti vie,
De gli aliti corrotti
Empion l'estivo die:
Spettacolo deforme
Del cittadin sull' orme!

Ne a pena cadde il Sole,
Che vaganti latrine
Con spalancate gole
Lustran ogni confine
De la città, che desta
Beve l' aura molesta.

Gridan le leggi, è vero;
E Temi bieco guata.
Ma sol di se pensiero
Ha l'inerzia privata.
Stolto! E mirar non vuoi
Ne' comun danni i tuoi ?

Ma dove, ahi! corro e vågo
Lontano da le belle

Colline e dal bel lago
E da le villanelle,
A cui si vivo e schietto
Aere ondeggiar fa il petto?

Va per negletta via Ognor l'util cercando La calda fantasía, Che sol felice e quando L'utile unir può al vanto Di lusinghevol canto.

LA IMPOSTURA.
VENERABILE Impostura,

Io nel tempio almo, a te sacro,
Vo tenton per l'aria oscura;
E al tuo santo simulacro,
Cui gran folla urta di gente,
Già mi prostro umilemente.
Tu de gli uomini maestra
Sola sei. Qualor tu detti
Ne la comoda palestra
I dolcissimi precetti,
Tu il discorso volgi amico
Al monarca ed al mendico.

L'un per via piagato reggi;
E fai si, che in gridi strani
Sua miseria giganteggi :
Onde poi non culti pani
A lui frutti la semenza
De la flebile eloquenza.

Tu dell' altro a lato al trono Con la Iperbole ti posi;

E fra i turbini e fra il tuono
De' gran titoli fastosi,
Le vergogne a lui celate
De la nuda umanitate.

Già con Numa in sul Tarpeo Desti al Tebro i riti santi, Onde l'augure poteo

Co' suoi voli e co' suoi canti
Soggiogar le altere menti,
Domatrici de le genti.

Del Macedone a te piacque
Fare un dio, dinanzi a cui
Paventando l' orbe tacque;
E nell' Asia i doni tui
Fur che l' Arabo profeta
Sollevaro a si gran meta.

Ave, Dea. Tu come il Sole
Giri, e scaldi l'universo;
Te suo nume onora e cole
Oggi il popolo diverso;
E Fortuna, a te devota,
Diede a volger la sua rota.

I suoi dritti il merto cede

A la tua divinitade,

E virtù la sua mercede.

Or, se tanta potestade

Scopron or le zanne fiere.

Hai qua giù, col tuo favore
Chè non fai pur me impostore?

Mente pronta, e ognor ferace
D'opportune utili fole
Have il tuo degno seguace;
Ha pieghevoli parole;
Ma tenace, e, quasi monte,
Incrollabile la fronte.

Sopra tutto ei non oblía,
Che si fermo il tuo colosso
Nel gran tempio non staria,
Se, qual base, ognor col dosso
Non reggessegli il costante
Verosimile le piante.

Con quest' arte Cluvïeno,

Che al bel sesso ora è il più caro
Fra i seguaci di Galeno,
Si fa ricco e si fa chiaro;
Ed amar fa, tanto ei vale,
A le belle egre il lor male.

Ma Cluvien dal mio destino
D'imitar non m'è concesso.
Dell' ipocrita Crispino

Vo' seguir l'orme da presso.
Tu mi guida, o Dea cortese,
Per lo incognito paese.

Di tua man tu il collo alquanto
Sul manc' omero mi premi;
Tu una stilla ognor di pianto
Da mie luci aride spremi;
E mi faccia casto ombrello
Sopra il viso ampio cappello.

Qual fia allor si intatto giglio,
Ch'io non macchi e ch' io non sfrondi,
Da le forche e dall' esiglio
Sempre salvo? A me fecondi
Di quant' oro fien gli strilli
De' clienti e de' pupilli!

Ma qual arde amabil lume?
Ah! ti veggio ancor lontano,
Verità, mio solo nume,

Che m'accenni con la mano;
E m'inviti al latte schietto,
Ch'ognor bevvi al tuo bel petto.

Deh perdona! Errai, seguendo
Troppo il fervido pensiere.
I tuoi rai, del mostro orrendo

Tu per sempre a lui mi togli;
E me nudo nuda accogli.

L'INNESTO DEL VAIUOLO

AL DOTTOR GIAMMARIA BICETTI.

O GENOVESE, ove ne vai? Qual raggio
Brilla di speme su le audaci antenne?
Non temi, ohimè! le penne,

Non anco esperte, degl' ignoti venti?
Qual ti affida coraggio
All'intentato piano

De lo immenso oceáno

Senti le belle dell' Europa; senti,
Come deride i tuoi sperati eventi.

Ma tu il vulgo dispregia. Erra chi dice,
Che natura ponesse all'uom confine
Di vaste acque marine,

Se gli die' mente, onde lor freno imporre,
E dall'alta pendice
Insegnògli a guidare

I gran tronchi sul mare,

E in poderoso canape raccorre

I venti, onde sull' acque ardito scorre.

Cosi l'eroe nocchier pensa, ed abbatte
I paventati d'Ercole pilastri;
Saluta novelli astri,

E di nuove tempeste ode il ruggito.
Veggon le stupefatte

Genti dell' orbe ascoso
Lo stranier portentoso.

Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito
All' Europa che il bella ancor sul lito.

Più dell' oro, Bicetti, all'uomo è cara
Questa del viver suo lunga speranza;
Più dell'oro possanza

Sopra gli animi umani ha la bellezza.
E pur la turba ignara

Or condanna il cimento,

Or resiste all' evento

Di chi'l doppio tesor le reca: e sprezza
I novi mondi al prisco mondo avvezza.

Come biada orgogliosa in campo estivo,
Cresce di santi abbracciamenti il frutto.
Ringiovanisce tutto

Nell' aspetto de' figli il caro padre;
E dentro al cor giulivo
Contemplando la speme
De le sue ore estreme,

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