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terre nostre; e fu mal fatto di pagare quei dazii a Ferrara; perchè se gli fosse stato scritto una lettera, non si pagava; perchè lui diceva che non si è mai pagato. E sopra questo luogo quel Remelin (Armellino?) venne a Venezia e disturbo il tutto.

Il papa ha per consiglieri: il suo nipote cardinal dei Medici (1), che è uomo dabbene, di non molte facende; benchè adesso il maneggio della corte sia nelle sue mani; che prima era in quelle del cardinal Bibiena, il quale è dalla parte di Spagna, da cui ebbe benefizii e ultimamente un vescovato di ducati settemila. Poi ha Lorenzino duca d'Urbino, di anni ventisette in circa; il qual ha un animo gagliardo, figliuolo del magnifico Piero. Il padre di Piero, Lorenzo il magnifico, diceva: ho tre figliuoli; un buono, un savio e un pazzo: il buono era Giuliano, il savio era il papa, e il pazzo Piero Testagrossa. ec.

Il papa ha concesso ai Fiorentini di bollare in piombo, a concorrenza della Signoria; e questo Lorenzino è stato fatto capitano dei Fiorentini contro le loro leggi, che non permettono che alcun Fiorentino sia capitano, come le nostre. Egli si è fatto signor di Fiorenza; egli ordina ed è obbedito. Si imbossolava, ora non si fa più; quello che comanda Lorenzino è fatto. In Fiorenza sono tre ordini: gli Otto col Gonfaloniere danno udienza alle petizioni che vengono fatte alla Signoria; poi gli Otto della pratica, che sono al governo dello Stato, come li Savi del consiglio; e gli Otto alla Balia, che attendono alle cose criminali. Ora però non si serva più ordine: quello che vuol Lorenzino è fatto; onde ai Fiorentini, dalla sua fazione in fuora, non piace (2). Il papa ebbe dai Fiorentini per questa spedizione (3) ducati novan

(1) Giulio dei Medici, cugino (e non nipote) di Leone X, che poi divenne papa col nome di Clemente VII.

(2) Intorno al governo di Firenze in quel tempo, e intorno a Lorenzo dej Medici, vedi principalmente le storie del Guicciardini, e del Pitti.

(3) Contro il duca d'Urbino, Francesco Maria della Rovere.

tottomila; tuttavia Fiorenza è più francese che altro; e la parte contraria ai Medici non può far molto; ma queste cose non le piacciono. Disse l' oratore che, quando il papa fu in Fiorenza, volle entrare in un monastero di monache osservanti, dove ci sono duecento murate, donne religiose; e molti Fiorentini, incappucciati che vi vollero entrare, furono respinti e battuti da quelli della guardia del papa. Sicchè alla più parte dei Fiorentini non piace la potenza di questa casa dei Medici. Inoltre, il papa tiene ai Fiorentini cinquecento uomini d' arme, il capitano Lorenzino, il governatore Renzo da Ceri, e alcuni altri condottieri di poco conto; il conte Ludovico da Pitigliano e Niccolò da Lovagno: l'uno non vede, l' altro non ode (1). Li nostri sono degni, massime Malatesta Baglioni (2) che val più di Giovan Paolo suo padre. Poi i Fiorentini hanno le ordinanze di fanteria, ridotte adesso a dodicimila. E disse che al governo degli Otto della Balia era Matteo Cini, ben conosciuto in questa terra, il quale v' entrava per numero delle arti. L'entrata dei Fiorentini è: dalle porte della Terra e da altri dazii dentro, ducati settantaquattromila; dalle terre di fuora (chè hanno di belle terre: Arezzo, Pisa, Pistoia, Cortona ec.) da ducati centoventimila; e da uno balzello traggono ducati centosessantamila, e lo mettono uno ovvero un e mezzo ogni anno, che è come decime annue; e dei Fiorentini non disse altro (3).

La entrata del papato è di ducati quattrocentoventimila in circa, come si divulga (essendo anni diciassette che fu oratore un' altra volta a Roma). La quale entrata proviene da

(1) Non sappiamo se il conte Lodovico Orsini avesse la vista corta e Niccolò da Lavagno l'orecchia dura: potrebbe però essere una maliziosa arguzia dell'oratore.

(2) Che acquistò più tardi una sciagurata celebrità, come capitano dei Fiorentini. A suo padre Giovan Paolo fu, tre anni dopo, mozzata la testa in Roma, per ordine di Leone X.

(3) Vedi intorno a queste cose il Cambi ed il Varchi, e la bella relazione di Firenze di Marco Foscari (Vol. II delle Relazioni Venete).

quattro cose: dalle rive di Ripa, trae ducati sessantamila ; dalla dogana di terra, trentaduemila in circa; e dall' aceto di vino ottomila: che sono in tutto centomila. Poi dal ducato di Spoleti e Marca Anconitana e dalla Romagna, può avere, come Francesco Armellino gli ha detto, ducati sessantamila per loco; che sommano ducati centoventimila; la metà dei quali serve a pagare i legati e altri uffici e spese; l'altra metà ha il papa, per la grande spesa del suo tinello. Il cardinal Sangiorgio disse al nostro oratore, che papa Giulio soleva dare al tinello quattromila ducati al mese circa; questo papa ne vuole otto o novemila. La causa è, che vengono molti Fiorentini che si fanno parenti del papa, e vanno in tinello a mangiare. Dall'allume di rocca, del quale ha l'appalto Agostino Ghisi, cava ducati quarantamila. Poi dai sali di Cervia mandati a Milano e altrove, e dall' entrate di Ravenna, può cavare da sessanta, settanta e fino a centomila ducati. E quel che gli fa un gran servizio è l'entrata dei benefizii; e come occorre, per le annate si paga. E in questa guerra si pensò un nuovo modo di trovar danari (per aver convenuto trovarli a Roma da banchieri a quaranta per cento), cioè che si paghi per le sue terre un quartino di più per ducato del sale; il che è assai, e saria da ducati settantacinquemila. E questo fu consiglio di quel Francesco Armellino, e cominciò in Ancona; ma la terra non lo volle sopportare, e gli convenne fuggir via a mezza notte; e così non hanno voluto tutte le altre terre di Romagna; sicchè convenne dimandare imprestito e torre danari a quaranta per cento (1). Le terre di

(1) Francesco Armellino, cittadino e vescovo di Perugia, fatto cardinale nell'aprile di quest'anno medesimo 1517, fu trovatore di gravi e inusitati balzelli a vantaggio di Leone X, di Clemente VII, e di sè stesso. Colle sue rapacità si tirò addosso l'odio universale, e, come suole accadere, anche il disprezzo di coloro ai quali credeva servire. Il Garimberti racconta che, trattandosi in Concistoro di certe imposizioni da lui proposte, il cardinale Pompeo Colonna asseriva, essere provvedimento più utile e più spedito di tutti lo scorticare il cardinale Armellino, mandarne la pelle per lo stato ecclesiastico e

Romagna sono in gran combustione e disordine; vien fatto loro poca giustizia; e lui oratore vide ben dieci volte degli oratori dal cardinal dei Medici, che negozia le facende, a lamentarsi dei mali portamenti dei rettori loro; e avuta una lettera da lui (per esser egli Legato di Romagna), e portatala al podestà di certa terra, credendo che fosse riprensione ec. costui disse: alla barba vostra m'ha confermato. Sicchè si dolgono assai di essere sotto alla Chiesa; e massime la città di Ravenna, un ambasciadore della quale usò al Medici queste parole: monsignore, la Illustrissima Signoria di Venezia non ne vuole, per non far cosa contro la Chiesa; se il Turco viene a Ragusi, ce gli daremo (1). Le genti d'arme del papa, e questi capi: Renzo da Ceri, Troilo Savello, Giovan Paolo Baglioni, signori lì attorno, mal pagati, stanno un anno che non toccano danari; e quando erano con noi, si dolevano di essere mal pagati; e a questa impresa ha loro dato un quarterone o un quarterone e mezzo, avanti che abbiano cavalcato.

Dei cardinali sono vivi al presente trentadue; e l'oratore non dirà di quelli che sono fuori in Francia, in Inghilterra, in Ungheria, in Spagna; ma bensì dei primi fra quelli che sono a Roma, che sono circa ventidue. Il reverendissimo Sangiorgio, di nazione genovese, è ricco cardinale, d'anni cinquantanove, nipote di Sisto IV, e non molto pratico del governo di stato. Spera di essere papa; cavalca con quattrocento cavalli e con ventitrè cappelli; e stando con questa riputazione, tiene di essere papa; ma morirà cardinale. Il secondo è il cardinal Santacroce, olim papa Bernardino (2), a tempo dello

far pagare un quattrino a chiunque volesse vederla. Egli morì durante il sacco di Roma in Castel Sant' Angelo, ove erasi rifugiato con papa Clemente, che incamerò gran parte delle male acquistate sostanze. Dell'Armellino ci parlerà ancora Marco Foscari, nella sua relazione di Roma.

(1) Intorno all' amministrazione dello stato ecclesiastico, durante il secolo XVI, merita di essere letto il libro IV della Storia dei Papi di Leopoldo Ranke. (2) Bernardo Carvajal, fatto cardinale da Alessandro VI, poi capo dei dissidenti nel concilio di Pisa, ove i ragazzi per ischerno lo salutarono papa.

scisma sotto Giulio II; cardinale dotto, spagnuolo; era pratico di stato; ma poichè fece la sua fortuna, ha rimesso di occuparsi di stato. Poi viene il nostro cardinale Grimani (1), cui laudò sommamente; è il più dotto d' Italia in tutte le scritture; morigerato, di degni costumi e venerando, potrà facilmente esser papa (che Dio il volesse, per bene di questo stato); non va molto a palazzo; e in concistorio, quando il papa propone cosa che non gli piaccia, gli contradice; sta alli suoi studi, e non s'impaccia di stato. E sopra questi studi, occorre dire all' oratore, che avendo la Signoria nostra terminato di fare lo Studio nuovo in Padova, nel quale si spende all' anno da sei a settemila ducati, egli pensò un modo di risparmiare alla Signoria questa spesa. Quando fu nel monastero di Camaldoli il nostro oratore vide una bolla, dalla quale pare che papa Eugenio (che fu nostro gentiluomo), quando scampo da Roma a Fiorenza, concesse ai Fiorentini una decima sul clero, per pagare lo Studio di Pisa; e perchè Camaldoli pagava assai, moderò la sua parte. Così si dovrebbe domandare una tal decima a questo papa; che se il papa veneziano la concesse ai Fiorentini, il papa fiorentino debbe concederla a Venezia: e ritiene che gliela concederà (2).

Il papa è amatore delle lettere, dotto in umanità e giure canonico, e sopratutto musico eccellentissimo; e quando canta con qualcuno, gli fa donare cento e più ducati. E per dire una cosa che si era dimenticata, il papa trae annualmente di vacanze di benefizii da ducati sessantamila e

(1) Fu veramente uno degli uomini più dotti e più morigerati del tempo suo. Bella testimonianza di carattere integro diede egli nell'occasione della bolla d'investitura del ducato d' Urbino per Lorenzo dei Medici, che papa Leone, per maggiore validità, voleva sottoscritta da tutti i Cardinali. Il Grimani, amico di Francesco Maria della Rovere e della giustizia, non volle concorrere; e partito incontanente da Roma, non vi tornò che dopo la morte del papa.

(2) Lo Studio, ossia l'Università di Padova, era stata chiusa per otto anni, a cagione delle guerre continue. In quest' anno 1517 si riaprì, conducendovi molti professori chiarissimi in ogni maniera di lettere.

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