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San Marco de Ultra. Per la malattia di Leonardo Emo, fu nel 1523 sostituilo il Pesaro Provveditore in Campo; dalla quale missione fu richiamato in patria l'anno seguente. Al campo però faceva ritorno il Pesaro nell'anno stesso 1524 insieme col Duca d'Urbino capitano generale della Repubblica; e fu loro ordinato di procurare con ogni sollecitudine, che dalle armate francesi invadenti l'Italia non fossero messe in pericolo le città, le piazze, le campagne e le vite dei sudditi. Mentre copriva questa carica, ebbe nel 1525 ordine di trattare a nome del Senato l'alleanza con Carlo di Lanoy viceré in Milano; ma nulla fu conchiuso, non avendo il Lanoy intorno a questo avuto alcun potere da Cesare. Intanto nel 1526 il Senato comandava al Pesaro di far nuove leve di fanti e di unirli a quelli che aveva pronti; e a tenore delle lettere del Pesaro, circa il bisogno di Francesco Sforza assediato, si decretò una leva di altri fanti, e s'incaricò il Pesaro di persuadere Guido Rangone ad accrescere anch'egli il numero delle truppe pontificie. Collegatasi poscia in quell' anno la Repubblica coi Francesi, il Pesaro fu nel vegnente 1527 spedito ambasciatore a Lautrec, che scendeva in Italia come capo generale della Lega; e lo esortò, ma indarno, di rendere Alessandria allo Sforza. Indarno pure allora cercava di distorre lo stesso Lautrec dalla impresa di Napoli; ma vedutolo fermo nella sua opinione, fu dal Senato stabilito che il Pesaro con Camillo Orsini e colle altre genti venete l'accompa gnasse a quella impresa, che fu nel 1528. Le commissioni da lui avute e le sue operazioni in vantaggio pubblico, sono già state notate dagli storici Morosini e Paruta. Finalmente nell' anno suddetto, essendo l'esercito dei Collegati nel regno di Napoli assalito da morbi pestilenziali, una delle moltissime vittime fu anche l'illustre Pesaro.

Gli oratori partirono di qui addì ventitrè di marzo 1523, ed andarono a Pesaro il martedì santo, con gran sinistro del corpo e dell' animo; convenendo loro di fare una giornata di sessantatrè miglia ed una di quarantanove, per passare i luoghi infetti di morbo (1) che cavalcando trovavano, senza saperlo per l'innanzi. E lì a Pesaro stettero tutta la settimana santa e il giorno di Pasqua: dove furono accolti e tenuti dalle duchesse di Urbino, vecchia e giovane (2), per essere Pesaro del detto duca. Le quali mandarono con gran forza a levarli dall' osteria e a condurli ad un ottimo alloggiamento. Ciò fu tra le ore ventitrè e ventiquattro; nè era di molto imbrunita la sera, che le duchesse, quantunque si risentissero di febbre, e la giovane fosse letto, se ne vennero sopra una bellissima carretta a visitarli; la quale era d' oro, coperta di panno bianco incatenato tutto di veluto nero, tirata da quattro bellissimi destrieri, tinti di morello e liardo. E vennero a visitare messer Marco Dandolo oratore, scusandosi se l'accoglienza

(1) La peste si era mostrata già l'anno innanzi in varie provincie d' Italia, e massime in quelle che più erano dalla guerra infestate. Questi veneti ambasciatori, eletti ai 22 d'agosto 1522, vennero sino a Bologna; ma spaventati dal morbo, se ne tornarono.

(2) La vecchia era Elisabetta Gonzaga, sorella del Marchese di Mantova, vedova di Guidobaldo di Montefeltro; la giovine era Eleonora Gonzaga, figlia del Marchese, e moglie di Francesco Maria della Rovere.

e il preparamento non era conforme ai lor desiderii, non avendo saputo la loro venuta. La causa fu, che alla Cattolica, miglia dodici di lì, volendo desinare, gli oratori intesero, allora essere morto l'oste con un' altra persona di peste, e tuttavia si ficcavano nelle casse: e però convenendo loro di cavalcare subito fino a Pesaro, vi giunsero lassi e morti di fame, dopo aver fatto quasi quarantacinque miglia di pessima strada e con grandissima pioggia. Nondimeno l'alloggiamento era tutto arazzato dalle travi in sino a terra, e i letti coperti di broccato d'oro e padiglioni bellissimi. La mattina seguente, che fu il mercoledì, a ora di desinare, vi giunse messer Antonio Giustiniano, per il quale era preparato un altro alloggiamento, per mezzo al loro; ma però mangiavano insieme. Dopo desinare, i detti due oratori andarono nel palazzo per visitare le duchesse; le quali vennero loro incontro nella quarta anticamera; e dopo essere stati alquanto in cerimonie di precedenza, il Dandolo prese la duchessa vecchia per la mano destra, e il Giustiniano la giovane, e Matteo Dandolo, figlio dell' oratore, prese una gentildonna vecchia e sdentata, e andarono in camera. Ivi erano bene delle altre donne bellissime; e la camera era nuova, fatta a volta, la maggior parte di essa profilata d'oro e arazzata dall' alto al basso, con una lettiera in mezzo sotto un padiglione, coperta di seta. E gli oratori ragionarono colle loro Eccellenze a bassa voce; ed eravi anche messer Agostino da Pesaro: e stati tre quarti d'ora, e accompagnati al loco dove furono ricevuti, essi oratori tolsero licenza. E il seguente giovedì, a ora di desinare, giunsero messer Piero da Ca' da Pesaro procuratore e messer Marco Foscari, molto stracchi affamati. E messer Alvise Mocenigo, credendo di arrivare più presto, volle venire per mare; e non giunse che il venerdì santo, a ora di desinare; sicchè per aspettarlo si convenne restare lì tanti giorni, con grande spesa di quelle duchesse. Il giorno di Pa

squa andarono alla predica e al vespro da alcuni frati di San Francesco; e poi a torre licenza dalle duchesse. Trovarono la giovane in letto assai gravemente ammalata; la quale ammise tutti domesticamente in un camerino, ove pochi potevano stare; e così tolsero licenza, con grande escusazione delle duchesse, se non erano stati ben trattati per causa del loro recente ritorno lì in Pesaro, e dei giorni santi e quadragesimali. Gli oratori fecero loro grandissima dimostrazione di benevolenza e di gratitudine. E tornati a casa e parlato del viaggio, fu concluso di far la via di Loreto; perchè più piana e non molto più lunga, e più sicura dal morbo. Ma gli altri oratori, eccetto il Dandolo, non vollero far quella via. E così il lunedì di Pasqua, udita la messa, esso Dandolo si partì, e andò a desinare a Sinigaglia e a dormire in Ancona, quaranta miglia da Pesaro, ove giunse a ore ventiquattro. Alloggiò al Cavalletto e fu benissimo trattato; e per vedere la terra e far riposare i cavalli, stette lì il martedì di Pasqua a desinare. E così il martedì, dopo la messa, alquanto fuori della terra, ad un luogo amenissimo dei frati della Carità, vennero a trovare esso oratore gli anziani e i primarii, con fargli grandissime offerte e amorevolissime dimostrazioni. Ed era anche col Dandolo messer Agostino da Pesaro, il quale prima era in compagnia del Giustiniani, ma lo lasciò per andare a Loreto. La terra è bellissima, piena di mercadanti d'ogni nazione, e massime Greci e Turchi, e fanno faccende assai. E gli fu affermato da nostri veneziani ch'erano ivi, che l'anno passato si erano fatte facende per cinquecentomila ducati; e in quei giorni erano giunti sette schierazzi (1) grossissimi dei Turchi, molto ben carichi. Questa terra si governa a repubblica, e gli ordini loro sono lodati da ognuno (2).

(1) Schierazzi o schirazzi erano bastimenti tarcheschi, simili ai burchi dei Veneziani.

(2) Vedi la nota (3) pag. 37 alla relazione di Domenico Trevisano, e il

Dopo desinare montarono a cavallo, accompagnati per un pezzo da forse quaranta cavalli sì dei nostri mercadanti, come dei gentiluomini di quel loco. E così vennero a Loreto, dove giunsero a ore ventidue; e visitata quella gloriosa devozione (1), andarono a cena. E la mattina, udita messa in quella devotissima celletta, montarono a cavallo e vennero a desinare al passo di Macerata, e poi a cena a Tolentino; per bellissime campagne e colline pianissime piene di frumenti: chè per lo spazio di trenta miglia, altra erba, neppure una piccola petricella si avria potuto trovare; il che parve a tutti impossibile di accogliere, non che smaltire, tanto frumento (2). La mattina poi partirono da Tolentino e passarono per una valle, nell' entrata della quale v'è un serraglio di muro altissimo e grossissimo che la chiude; e per mezzo vi passa una fiumana di corso rapidissimo. E cavalcando per essa, asperrima da ogni banda, per venti miglia, si capita a un luogo chiamato Serravalle, chiuso come nell' introito, ma di maggior fortezza ancora, perchè il muro va da un monte all' altro: passo fortissimo ed opera bellissima. Questo loco dove capitarono, è Verchiano, che è del duca di Camerino (3).

L'altra mattina andarono a desinare a Spoleto; e per essere nella terra il morbo in colmo, passando fuor delle mura, arrivarono ad un' osteria, verso Roma, dove volevano desinare. Ma, facendo dire la messa, giunsero gli altri tre oratori, eccetto il Mocenigo; il quale per la sua gamba risentita di nuovo, era rimasto a Sigillo, tre giornate dietro a loro; e si giudicava che fosse per ritornare a Venezia

Saracini Notizie storiche della città d'Ancona. Roma 1675. Anche il Ranke ne tratta incidentemente nel libro IV della sua Storia dei Papi.

(1) Cioè, la Santa Casa.

(2) Della fertilità delle terre della Marca parlano quasi tutte le relazioni dei Veneziani durante il secolo XVI; e specialmente quelle di Lorenzo Priuli (1586) e di Giovanni Gritti (1589).

(3) Gismondo dei Varani.

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