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di creare un dato numero di cavalieri e di qualche Delegato tratto in inganno da non sincera raccomandazione sul merito della persona cui l'ordine si conferiva, minorossi la stima e la riputazione di quest'ordine. Può anche esservi stata un'epoca, in cui un gran numero di questi cavalieri abbia cagionato qualche discapito alla di lui estimazione, giacchè Clarus honor vilescit in turba, et inter dignos indigna est dignitas, quam multi indigne possident -. Può forse essere accaduto, che qualcuno, non meritevole certamente di una tale decorazione, abbia profittato della facoltà accordata dai pontefici ad alcune università di dichiarare cavalieri Aureati, e Conti Palatini gl' insigniti della laurea in quel dato liceo, ed abbia da quel rettore voluta formalmente la Croce. Ma qual disonore ne viene perciò all' Ordine? Ben presto si viene a giorno della provenienza dell'ottenuta decorazione, e non gli torna più in onore ma gli compra colla comune disistima, e fors' anche colla derisione, il disprezzo. La cavalleria Romana è stata celebratissima. Questa è la più antica di tutte le cavallerie, ed il modello di tutti gli Ordini militari. Ella non ha egualmente in ogni tempo fiorito. La mescolanza di molte persone indegne coi veri cavalieri oscurò sovente lo splendore di questo illustre corpo, e finchè Roma fu parca e moderata, quanto sudore non si versava per ottenere un fascetto di gramigna, ed alquante foglie di edera, e di quercia? Il re Jacopo I Stuart, partito da Scozia a pigliare il possesso del trono d'Inghilterra, nelle prime sei settimane creò 237 cavalieri. La moltitudine tolse la distinzione e però abbassò di molto quel grado. L'ordine di s. Michele in

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Francia fu celebre sotto quattro re ma divenuto essendo venale, e troppo comune sotto il regno di Enrico II, li signori non vollero più esservi aggregati ; onde Enrico III, che voleva pur sostenerlo senza annichilarlo, instituì quello dello Spirito Santo, ed ordinò che tutti i cavalieri, cui era decretato quest'ordine, prendessero quello di s. Michele la vigilia del giorno, in cui dovevano ricevere quello dello Spirito Santo. Alcuni autori attribuiscono l' origine di quest' ordine a Lodovico d'Angiò re di Gerusalemme, e di Sicilia. Non è quindi da prendersi meraviglia se l'ordine dei cavalieri aureati, o sia dello Speron d'oro sia stato sottoposto alla medesima crisi. Collo spender male scriveva un bel genio del secolo passato) gli onori si adulterano anch'essi, e s'inviliscono come le monete, onde non sono più onori dacchè hanno perduta la loro estimazione. Il secreto di premiare non solo con economia dell' erario, ma con profitto dello stato, consiste in dar opra, che la opinione si mantenga, perchè, l'opinion dileguata, è dileguata l'onoranza.

Noi viviamo, la Dio mercè, sotto l'impero di un Sovrano premiatore, ma conoscitore del vero merito. I suoi Delegati non si scostano in ciò dall' augusto loro capo, e ben si vede come, ed a chi siasi conferita in questi tempi la Croce. Ella non si è dispensata se non a persone di merito, distinte o per nascita, o per illustri cariche, o per scienza in ogni ramo di letteratura, o per eccellenza nelle arti, o per servigi al sovrano e alla s. Sede prestati ; e perciò ha quest' ordine riacquistata quella stima e quello splendore che la condizione de' tempi aveva sgraziatamente ecclissato e prova ne sia la collazione fattasi

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dal santo Padre a persone d'alto rango, massime fra tedeschi e francesi.

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Ecco posto termine a queste meschine memoric ed a quanto ci hanno lasciato scritto ne' tempi anche i più lontani da noi su questo storico avvenimento uomini dotti, e della buona critica conoscitori, e da me fedelmente riportati. Nel decorso di queste memorie io ho tratto tratto appoggiato alle leggi di severa critica le mie asserzioni. Nel riandarne altre applicabili ai miei asserti, e richiamando a queste le ragionevoli congetture dei citati autori a prova della sostenuta opinione, e le tradizioni depurate proposteci dalla veneranda antichità io spero che risultare ne possa un tutto assieme capace di conciliare, anche ne' prevenuti in contrario, la più decisa persuasio▾ ne. Diamo loro posto in questi ultimi periodi. Forse i miei leggitori verranno tratti a sensati e giusti rapporti e quindi in fine a quell' equo e sincero acconsentimento, non consigliato già da compiacente urbanità, nè voluto da qualche altro politico riguardo, che qualche volta ancora suole immischiarsi nelle letterarie opinioni. Il lodato padre Onorato scrive: - Facta celeberrima, et illustria, quae nihil incredibile afferunt, et in historicorum narrantium regionibus contigerunt, recipienda sunt haesitatione nulla a scriptoribus illis, in quorum conspectu gesta fuere, sive qui didicerunt illa a viris fide dignis, vel ejusdem aevi ; maxime vero si scriptores isti ingenio, probitate, et fide praestent ingenua Constans est prudenter agere illum, qui haec suscipit eo animo, eaque ratione, quibus ad nos traducta sunt, nimirum tamquam traditiones, et facta

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verisimilia, non autem falli nescia. Equidem non video qui possit criticae severior ab his admittendis se subducere. Quo enim spectant omnes criticae praeceptiones, nisi ut ad antiquitatem cognoscendam nos ducant, atque ut factis non assentiamur, nisi ad ipsius decreta accurate redactis ? - (1) Riandate gli autori proposti cominciando dal vescovo di Cesarea Eusebio Panfilo. Leggete attentamente le lettere del pontefice Leone I del 456 giustificate dall' accusa di apocrife, insieme con quelle dell' Imperatore Leone I del 459. Scorrete l'epitome delle vite degl'imperatori di Aurelio Vittore che visse al secolo medesimo di Costantino, e gli autori dei secoli XV, XVI, XVII, da me consultati. Paragonate fra loro le rispettive asserzioni: analizzate i fatti e le epoche segnate: poi deeidete. Sono io forse meno sicuro, credendo essere fioriti due romani uno detto M. T. Cicerone di cui esistono le opere, e Giulio Cesare di cui si contano le vittorie, entrambi da tanti autori lodati, di quello sia certo che il quadrato dell' ipotenusa equivale ai quadrati dell' uno e dell' altro lato; o di qualunque altra dimostrazione d'Euclide?

Non pretendo già con tutto questo, che quanto ho prodotto in queste pagine debba riguardarsi come prova incontrastabile. Poca, o niuna importanza do alle mie riflessioni: ma se abbiasi a giudicare dalle Bolle dei sommi Pontefici, dai diplomi d'imperatori, dalle testimonianze di scrittori di varie nazioni, che in epoche diverse ne hanno lasciate prove e documenti da tutte queste particolarità unite insieme

(1) Oper. cit. diss. VII pag. 338.

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io porto costante opinione, che pochi forse si troveche non accordino a questo storico avvenimen to i caratteri di una morale certezza. Contento io di avere colle addotte prove portato questo fatto al più alto grado di probabilità, e, se mi è permessa la espressione sino ai confini della morale certezza, ne abbandono all'altrui savio giudizio la decisione. Chiuderò questo scritto colle parole di Cicerone le quali dovrebbero essere il canone abbracciato da tutti quelli che trattano materie di antica storia, o meramente conghietturali :- Nos, qui sequimur probabilia, non ultro id, quod verisimile occurrerit progredi possumus; sed et refellere sine pertinacia, et refelli sine iracundia parati sumus – .

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Piacemi in questa seconda edizione di far sapere, amici leggittori, che il celebre gran Cancelliere d'Inghilterra sotto Arrigo VIII, Tommaso Moro, uno dei più grandi uomini del secolo XVI, valentissimo nella politica, nelle scienze, e nelle belle lettere, e più rinomatissimo per la sua fermezza, ed inflessibilità a non acconsentire a quanto da quel pervertito Sovrano si voleva da lui sino a lasciare su di un palco l'onorata sua testa, era insignito dell'ordine aureato dello Speron d'oro.

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