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PREFAZIONE.

Tratta dall' Opera intitolata Il Risorgimento d'Italia dell' AB. SAVERIO BETTINELLI, V. Vol. I. pag. 1.

NATA la Lingua Italiana nel secolo pre

cedente in aria di letterata, e tentate da lei e scritture e libri benchè non illustri, crebbe rapidamente in vigore ed in fama, anzi giunse in questo secolo XIV. a quella sua perfezione, che noi sì tardi ancor veneriamo e cerchiamo. Tre uomini soli furono quegli più veramente che a tal la condussero; onde furono e sono i padri verissimi della Italiana Letteratura. Dante, Petrarca, e Boccaccio sono i fondatori di così vasto e sontuoso edifizio, tutti e tre vissuti in quel secolo, Dante solo avendogli preceduti, nascendo nel precedente; tutti e tre gran dotti in ogni sapere d' allora, e scrittori facondi nelle due lingue, nuova ed antica. Noi gli conosciamo appena come scrittori latini, venerandogli quai maestri eccellenti nell' Italiana Letteratura. Tutto al contrario fu allora. Scrisser, per aver fama, latinamente; il volgare presero a passatempo, tanto ancor prevaleva l'antico idioma romano.... Alcuni altri che meritamente annoverar si possono anch'essi

fondatori della Italiana Letteratura, vissero seco loro, altri più da vicino ne presero norma ed insegnamento. Io parlo di quelli che studiarono, e scrissero con quel che noi chiamiamo buongusto, il qual bandito dalle pubbliche scuole, dovette cercar qua e là de' seguaci dispersi, e de' liberi studj tranquilli, che nelle università gemevano sotto il giogo de' pregiudizj, delle sette, e delle dispute. Questo buongusto fu cosa ignota del tutto uscendo gli uomini dall' ignoranza al mille. Il primo loro bisogno intellettuale è sempre l' erudizione, cioè il saper qualche lingua, e leggere qualche qualche autor più che i loro contemporanei non fanno; onde viene il grande uso in que' giorni della latinità, i commenti, le glosse, le citazioni, e insino le trasformazioni delle opere antiche. Basta allora contentar l'appetito dell' anima, qualunque sia il cibo, e suol questo essere il più pronto e comodo ad apprestarsi.

Venne Dante e gittò qualche barlume di questo gusto dopo i primi poeti, e dopo Brunetto Latini, chè furono intenti quegli a rimare, questi a raccogliere erudizione. Qualche passo di Dante ancor vive, e vivrà sempre cogli ottimi dell' antichità, specialmente negli argomenti fieri e robusti, come è proprio di chi tenta uscire dalla rozzezza. Boccaccio ne sparse qua e là de' tratti nelle novelle per la grazia del dialogo e l'eleganza. La famosa sua descrizione della peste è monumento illustre d' eloquenza Italiana, e forse il primo.

Ma Petrarca nelle sue rime toccò il più alto segno, tributando appena al suo secolo le imperfezioni delle sestine, e d' alcun trionfo, oltre gli sparsi giocolin di parole, e le fredde allusioni in qualche sonetto o canzone, dando però sua parte di lode, e di biasimo al suo amico Cino da Pistoia. Era già prevenuto dal gusto universale, da quello cioè delle frasi gonfie, de' bisticci, delle antitesi, delle citazioni in fine, ch' erano bellezze allor pregiate. Quelle della semplicità ed eleganza dimandan tempo, vogliono gente disingannata per gli sforzi fatti in falsi ornamenti, e tardi assai giugniamo al naturale, al vero, all' affettuoso, al semplice, ch'è la perfezione dello stile. Han dunque ad ammirarsi Dante, Petrarca, e Boccaccio per averne dato alcun saggio tanto a buon' ora. Ma il Petrarca ha una gloria distinta, perchè, oltre l' esempio dato scrivendo, diede ancor tutti gli altri ai buoni studj, e alle lettere sagge.

Seguendo le tracce delle Lettere Italiane cominciasi dai primi poeti, si viene a Brunetto Latini, a Dante, e al Boccaccio col Petrarca, e si trovano i discepoli, gli amici, e contemranei suoi, che furono amici e maestri di tutti gli altri sin verso il 1400. e formano una schiera di letterati separata e distinta da quella delle scuole generali, anzi da loro perseguitata talvolta come nemica. Tra questi basti accennare i principali, come Albertino Mussato, e il Ferreto. Dopo loro s' incontrano Giovanni da Ravenna, ossia il Grammatico Ravennate,

Zanobi di Strata, Coluccio Salutato, Lorenzo Monaco, Guarino il Vecchio, Vittorino da Feltre, Gasperino Parzizio, Leonardo Aretino; poi Ambrogio Camaldolese, Flavio Biondo, Francesco Filelfo, e il Poggio. Alcuni greci son presso a quegli, i Crisolori, i Trebisondi, i Lascaris succeduti a Leonzio Pilato, e a Barlaamo, da noi veduti maestri di Petrarca e di Boccaccio. Tutti questi nacquero e vissero prima o presso del 1400. come pure San Lorenzo Giustiniani, San Bernardino da Siena, e Sant' Antonino scrittori illustri, ed oratori distinti dalla turba scolastica. Ma il Ravennate sopraccitato merita il primo luogo in quella letteratura, potendo dirsi della sua scuola eziandio tanti essere usciti preclari ingegni, quanti guerrieri dal cavallo Troiano. Un luogo pur singolare si deve al gran Cosimo de' Medici, detto Padre della Patria per soprannome, immortale, poichè poco dopo il 1400. protesse, incalorì, e diffuse per ogni parte le lettere, i letterati raccolse, amò, favorì con ogni sussidio di codici, di viaggi, di magnifiche imprese. Basti ricordare i Medici per avere la più grande idea di quel lusso sì nobile.

IL CIECO ILLUMINATO.

NOVELLA

le

Di FRANCO SACCHETTI di Firenze. Fu celebre non meno per le onorate cariche da lui sostenute, che per nobili sue opere. Le sue Novelle e per eleganza, e per leggiadria tengono il secondo luogo dopo quelle del Boccaccio, come le sue Poesie furono al suo tempo stimatissime dopo quelle del Petrarca. Morì circa il 1410.

MOLTO fu avveduto un cieco da Orvieto con gli occhi d' Argo a riavere fiorini cento, che gli erano stati tolti, sanza avere andare ad alcuno rettore, o chiamare avvocati arbitri, o allegar legge o noteria. Fu costui uno che già avea veduto, e avea nome Cola, ed era stato barbiere. Avendo circa anni trenta perdè la luce; e non possendo vivere, chè povera persona era, più col guadagno nè di quella arte, nè d' alcuna altra, convenne che si desse a domandare la limosina, e avea preso per uso, alla chiesa maggiore d' Orvieto fare ogni mattina almeno infino a terza, la sua dimora, e quivi gli era fatto per l' amor di Dio da' più della terra carità, tantochè in non molto tempo egli avanzò cento fiorini, e quelli segretamente tenea addosso in uno suo borsello. Avvenne per caso che moltiplicando costui in avanzare, VOL. V.

A

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