Che gran parte d'Olimpo in sè racchiude, Tutta al volto, ai costumi, alla favella, Pari alla donna che il rapito amante Vagheggiare ed amar confuso estima. Or questa egli non già, ma quella ancora Nei corporali amplessi, inchina ed ama Alfin l'errore e gli scambiati oggetti Conoscendo s'adira e spesso incolpa La donna a torto. A quella eccelsa imago Sorge di rado il femminile ingegno; E ciò che inspira ai generosi amanti La sua stessa beltà, donna non pensa Nè comprender potria. Non cape in quelle Anguste fronti ugual concetto. E male Al vivo sfolgorar di quegli sguardi Spera l'uomo ingannato, e mal richiede Sensi profondi, sconosciuti e molto Più che virili in chi dell'uomo al tutto Da natura è minor. Che se più molli E più tenui le membra, essa la mente Men capace e men forte anco riceve.
Ne tu finor giammai quel che tu stessa Inspirasti alcun tempo al mio pensiero Potesti, Aspasia, immaginar. Non sai Che smisurato amor, che affanni intensi, Che indicibili moti e che deliri
Movesti in me: nè verrà tempo alcuno Che tu l'intenda. In simil guisa ignora Esecutor di musici concenti
Quel ch'ei con mano e con la voce adopra In chi l'ascolta. Or quell'Aspasia è morta Che tanto amai. Giace per sempre, oggetto Della mia vita un di: se non se quanto, Pur come cara larva, ad ora ad ora Tornar costuma e disparir. Tu vivi,
Bella non solo ancor, ma bella tanto, Al parer mio, che tutte l'altre avanzi. Pur quell'ardor che da te nacque è spento: Perch'io te non amai, ma quella diva Che già vita, or sepolcro ha nel mio core. Quella adorai gran tempo; e si mi piacque Sua celeste beltà ch'io, per insino Già dal principio conoscente e chiaro Dell'esser tuo, dell'arti e delle frodi, Pur ne' tuoi contemplando i suoi begli occhi, Cupido ti segui finch'ella visse, Ingannato non già, ma dal piacere Di quella dolce somiglianza un lungo Servaggio ed aspro a tollerar condotto. Or ti vanta, chè il puoi. Narra che sola Sei del tuo sesso a cui piegar sostenni L'altero capo, a cui spontaneo porsi L'indomito mio cor. Narra che prima, E spero ultima certo, il ciglio mio Supplichevol vedesti, à te dinanzi Me timido, tremante (ardo in ridirlo Di sdegno e di rossor), me di me privo, Ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto Spiar sommessamente, a' tuoi superbi Fastidi impallidir, brillare in volto Ad un segno cortese, ad ogni sguardo Mutar forma e color. Cadde l'incanto, E spezzato con esso, a terra sparso Il giogo: onde m'allegro. E sebben pieni Di tedio, alfin dopo il servire e dopo Un lungo vaneggiar contento abbraccio Senno con libertà. Che se d'affetti Orba la vita e di gentili errori È notte senza stelle a mezzo il verno, Già del lato mortale a me bastante
E conforto e vendetta è che, su l'erba Qui neghittoso, immobile giacendo, Il mar, la terra e il ciel miro e sorrido,
SOPRA UN BASSO RILIEVO ANTICO SEPOLCRALE
È RAPPRESENTATA IN ATTO DI PARTIRE
ACCOMMIATANDOSI DAI SUOI.
Dove vai? chi ti chiama
Lunge dai cari tuoi,
Bellissima donzella?
Sola, peregrinando, il patrio tetto
Si per tempo abbandoni? a queste soglie Tornerai tu? farai tu lieti un giorno Qnesti ch'oggi ti son piangendo intorno? Asciutto il ciglio ed animosa in atto, Ma pur mesta sei tu. Grata la via O dispiacevol sia, tristo il ricetto A cui movi, o giocondo,
Da quel tuo grave aspetto
Mal s'indovina. Ahi ahi! nè già potria Fermare io stesso in me, nè forse al mondo S'intese ancor, se in disfavore al cielo,
Se cara esser nomata,
Se misera tu debbi o fortunata.
Morte ti chiama; al cominciar del giorno L'ultimo istante. Al nido onde ti parti Non tornerai. L'aspetto
De' tuoi dolci parenti
Lasci per sempre. Il loco
A cui movi è sotterra:
Ivi fia d'ogni tempo il tuo soggiorno. Forse beata sei: ma pur chi mira, Seco pensando, al tuo destin sospira. Ma non veder la luce
Era, credo, il miglior. Ma nata, al tempo Che reina bellezza si dispiega
Nelle membra e nel volto,
Ed incomincia il mondo
Verso lei di lontano ad atterrarsi; In sul fiorir d'ogni speranza e molto Prima che incontro alla festosa fronte I lugubri suoi lampi il ver baleni; Come vapore in nuvoletta accolto Sotto forme fugaci all'orizzonte, Dileguarsi cosi quasi non sorta, E cangiar con gli oscuri Silenzi della tomba i di futuri, Questo, se all'intelletto
Appar felice, invade
D'alta pietade ai più costanti il petto.
Madre temuta e pianta
Dal nascer già dell'animal famiglia,
Natura, illäudabil maraviglia,
Che per uccider partorisci e nutri, Se danno è del mortale
Immaturo perir, come il consenti In quei capi innocenti? Se ben, perchè funesta, Perchè sovra ogni male,
A chi si parte, a chi rimane in vita, Inconsolabil fai tal dipartita? Misera ovunque miri,
Misera onde si volga, ove ricorra, Questa sensibil prole!
Piacqueti che delusa
Fosse ancor della vita
La speme giovanil, piena d'affanni L'onda degli anni, ai mali ́unico schermo La morte; e questa, inevitabil segno, Questa, immutata legge
Ponesti all'uman corso. Ah! perchè dopo Le travagliose strade almen la meta Non ci prescriver lieta? anzi colei Che per certo futura
Portiam sempre, vivendo, innanzi all'alma,
Colei che i nostri danni
Ebber solo conforto
Velar di neri panni,
Cinger d'ombra sì trista,
E spaventoso in vista
Più d'ogni flutto dimostrarci il porto?
Già, se ventura è questo
Morir che tu destini
A tutti noi che senza colpa, ignari Nè volontari al vivere abbandoni, Certo ha chi more invidiabil sorte A colui che la morte
Sente de' cari suoi. Che se nel vero, Com'io per fermo estimo,
Il vivere è sventura,
Grazia il morir, chi però mai potrebbe,
Quel che pur si dovrebbe,
Desiar de' suoi cari il giorno estremo, Per dover egli scemo
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